Come il vento
<< L’ orizzonte e’ nello specchio
l’ orizzonte e’ dentro me
ho distrutto tutto il tempo
perche’ il tempo e’ solo mio
cielo basso sui capelli
l’ orizzonte e’ dentro me
ho scolpito sulla pelle
che chi piange ridera’.
Sono libero, come il vento sono libero
Questo mostro ha cento occhi
cento occhi come spie
ma quei bastardi ridono
mi hanno tolto mani, bocca e occhi,
occhi… occhi, occhi… occhi, occhi…
occhi, occhi…
Sono il vento, sono libero come il vento,
senza fine ah ah ah
sono libero, sono libero
Con il cuore in quella piazza
tiene a mente Tienammen
la morte la porta la liberta’ e la violenza perdera’
e ogni gabbia uccide un uomo ma la rabbia fa’ resistere
e ha scolpito sulla pelle che chi piange ridera’.
Sono il vento, sono libero come il vento, senza fine
sono il vento, sono libero come il vento, seno libero ah ah ah.
Rispetta la mia scelta rispetta la mia scelta.
Libero, libera, libero, libera libero, libera, libero, libera.
Libero, libera, libero, libera libero, libera, libero, libera. >>
Sono libero
(Litfiba)
Aprire e chiudere questo articolo con la parola libero, oggi nel venticinquesimo anniversario dall’inizio della caduta del muro di Berlino porta a delle considerazioni in merito al nostro, ora, sistema democratico.
Siamo noi, Italiani, ora, liberi come il vento?
Siamo noi, Italiani, ora, esenti dalla povertà, dal sopruso del Governo, dal “sistema repressivo”?
Non è forse la povertà il primo dei sintomi di un sistema decadente?
Il mestiere del giornalista parte (o dovrebbe partire) dal fatto, dall’accadimento.
Ed allora il fatto è che il 09 Novembre è (tra un po’, sarà stato) un quarto di secolo che è venuto giù il muro di Berlino.
Uno speciale in TV o una più celere disamina della correlata voce in wikipedia potrà meglio definire questo fenomeno “storico-sociale” che, nel dopoguerra, ha costituito muro di divisione non di una intera nazione ma di un più complesso sistema sociologico di parte: blocco Statunitense/Occidentale/NATO a ovest, blocco CCCP (adoro utilizzare la vecchia sigla della madre Russia!)/Orientale/Comunista ad est.
Ora, questo è un fatto.
Tralasceremo dunque la disamina degli ulteriori approfondimenti su come questo muro sia venuto su e su come poi sia andato giù, perché diciamo che interessa relativamente questo format di approfondimento.
Ciò che interessa in questa sede è comprendere e far comprendere, per quanto possibile, in quale misura un sistema possa definirsi dispotico, chiuso, di polizia, insomma privo dell’aggettivo – cioè della condizione – libero.
E’ pacifico che quello della Germania Est lo fosse: la STASI (Polizia di regime ndr) è un fatto, l’ingerenza Sovietica un altro, i morti sul confine un (vergognoso) altro fatto.
E se utilizzassimo questi parametri nell’Europa, anzi anche nell’Italia di oggi, cosa sarebbe cambiato nel 2014 rispetto al 1989?
Beh, iniziamo col dire che l’attuale normativa correlata agli sviluppi informatici consentono de facto di spiare la cittadinanza in ogni più recondito ambito della sua esistenza. Non vi è privacy, ormai: conti correnti, corrispondenza virtuale e fisica, telefonate, persino la propria abitazione. Se il sistema, indipendentemente dalla liceità o meno dell’ordine, lo vuole, la nostra vita viene riassunta in uno o più file: esattamente come i due milioni di fascicoli in possesso della STASI nella Germania dell’Est.
E questo è senz’altro un fatto.
Se passiamo ad una ingerenza che ci interessa oggi, nel 2014, certamente il Soggetto appare quello che sta a Bruxelles, nel bene o nel male.
Il nostro modo di consumare, di mangiare, persino quello di coltivare la terra (se e quando possiamo farlo) è ormai quasi del tutto burocratizzato, incastrato in direttive, in parametri.
E per stare a questa burocrazia, a questi parametri, a quest’ordine delle cose impartito dall’alto (e dunque non più mosso da partecipazione popolare) il Paese fa debito, perde la propria capacità di produrre moneta, perde l’imprinting ideologico e imprenditoriale. L’Italia, paese unico, diventa una qualsiasi land of quattro. O magari land of panda. Ormai di chi è l’Italia, a vedere certe reclame, parrebbe deciderlo il mercato attraverso delle fabbriche che producono tecnologia per spostarsi dal punto A al punto B. Nel frattempo, la piazza inizia a scalpitare, in qualche caso tumulta: vengono tirati fuori i manganelli dalle forze dell’ordine (i fucili per il momento, speriamo mai, non ancora).
Terzo fatto (ma verrebbe da utilizzare il termine indizio, e chi ha studiato un tantino di diritto sa che tre indizi fanno una prova..), i morti sul confine.
Il confine, nel 2014, è tanto quello che separa la famigerata Europa dall’Afroasia se possibile messa anche peggio, tanto quello che – allargandosi dal canale di sicilia ormai per tutto lo stivale – copre l’intero bel paese; infatti l’Italia è terra di confine di Europa e pertanto è qui, e ora, che ci scappano i morti. Imprenditori, padri di famiglia, disoccupati, poveri cristi su di un barcone.
Ma allora, da queste evidenze, scopriamo che in realtà il muro non è mai stato abbattuto: è solo stato spostato, in diversa forma, in longitudine e latitudine.
Il muro, in definitiva, ha suo presupposto nella carenza di libertà in quanto carenza di privacy per tutti per colpa di pochi, peraltro impuniti; libertà invece richiamata appieno nella foto in evidenza, nel soldato Conrad che “salta” il confine, la barriera, verso aspettative migliori.
Il muro, del quale le nostre alpi sono l’unica possente risorsa richiamante una qualche fisicità, è proprio ancora una commistione di giogo padronale di una confederazione di Stati che in comune ormai parrebbero avere davvero solo una moneta (che ormai, diciamocelo, non piace quasi più a nessuno); il muro diciamolo infine, ha oggi come ieri le sue vittime, però in quantità quintuplicata, decuplicata, X volte insomma.
E allora, diciamocelo, oggi l’Italia ha ben poco da festeggiare, così come la gran parte dei paesi mediterranei della cosidetta UE;
e allora, diciamocelo, quella carenza di libertà cantata dai Litfiba oggi come ieri appare rabbiosa, evidente, tumultuosa.
Quella libertà, gridata a gran voce da un Partito dei primi anni novanta ormai defunto – diciamolo pure – in realtà può esserci restituita solo in un modo.
Saltando, andando a vedere oltre quel muro, mandando qualche avanguardia, qualche avanguardia vera, a vedere cosa c’è oltre; ma l’avanguardia vera, il soldato Conrad insomma, oggi lo conosciamo tutti: si chiama Internet.
Sappiamo dunque bene, e tutti, che così non va. Sappiamo dunque bene, e tutti, che oggi per l’Italia come ieri per la Germania Est ci vuole un popolo: ieri il popolo in Germania si riuniva nelle chiese alla domenica per studiare una qualche rivoluzione.
Oggi, guarda caso, tutto sembra essere contrario, contrapposto, distante da qualsiasi luogo di condivisione: si è persa l’educazione civica nelle scuole, si è persa l’affezione ad un dogma o al semplice oratorio, luogo di aggregazione vera d’un tempo (escludendo le pur deprecabili cronache di infiltrati del maligno li operanti nella totale indegnità dell’abito talare); a causa dei soldi (pochi) si è perso il tempo e forse soprattutto la voglia di fare dopolavoro, di incontrarsi per fare anche solo corporazione , corrente, ideologia.
Oggi, in definitiva, per poter pensare di poter cantare un giorno a squarciagola “libero come il vento” dei Litfiba basterebbe tornare ad una semplice attività: essere popolo.
Proprio come quello che gridavano i Tedeschi dell’est nel 1989.
Roberto Loporcaro
Per i lettori, ecco il link dove ascoltare la bellissima “Il vento” dei Litfiba