E’ di queste ore l’attacco all’hotel Corinthia di Tripoli : quattro uomini armati hanno ucciso 3 guardie di sicurezza libiche e 5 stranieri presenti nell’hotel, lasciandosi esplodere dopo essere stati accerchiati dalle forze di sicurezza. Un tweet diffuso da un gruppo affiliato all’Isis comunica che l’obiettivo erano “diplomatici esteri”. Questo attacco segue a settimane di combattimenti nelle zone a sud est della Libia, con addirittura l’exploit quattro mesi fa a Derna, turbolenta cittadina della regione orientale della Cirenaica, dove gruppi jihadisti avevano annunciato la creazione di un Califfato sventolando le bandiere nere dell’Isis, a quasi meno di un’ora di volo dalle coste italiane e Greche.
Non occorre una laurea in sociologia o in scienze politiche per comprendere come in Libia la situazione stia precipitando procedendo a grandi passi verso una guerra civile praticamente davanti all’Italia, con ogni ancor più cupa proiezione in merito ad un ulteriore ed esponenziale aumento di migliaia tra reduci, migranti, disperati e, non ultimo, cani sciolti del califfato.
I rischi, al di là di uno scenario di guerra cui tanto la casta quanto il parrebbe pasciuto e dormiente elettorato paiono porre assai limitata attenzione, li ritroviamo per strada ogni giorno, potenzialmente all’uscita di qualsiasi supermarket della nostra città, ma anche in Piazza Massari, Ferrarese, Cesare Battisti, Umberto e poi per le vie del centro, nelle stazioni di servizio.
Certo, una massa di disperati sicuramente maggioritaria prende freddo e spesso acqua per raggranellare spiccioli nei luoghi di passaggio ma, come ogni serio analista di scenari di rischio insegna, in questo contesto è facile il confondersi tra i disperati.
Abbiamo avvicinato un esperto di sicurezza e difesa installazioni, che ha chiesto di rimanere anonimo, per porgli alcune domande.
Buon pomeriggio, in che termini ritiene possa sussistere il rischio di una incursione da parte dell’ISIS in Italia?
Il rischio è corrente e reale, se messo in correlazione alla gestione dei flussi migratori, come del resto dichiarato anche dal Ministero in una recente nota a latere della questione Charlie Ebdo.
In che termini dovremmo preoccuparci?
Vede, la scienza della difesa installazioni – di cui mi occupo – è poco facilmente applicabile ad un ambiente urbanizzato senza privare la cittadinanza di un adeguato senso di libertà intesa in senso convenzionale. Mi spiego meglio: per difendere una caserma, un ospedale, un campo rifugiati occorre predisporre un perimetro contenitivo (o più di uno) che costituisce la barriera passiva, un area di rispetto, un servizio di sorveglianza attiva (personale, videosorveglianza, selezione e identificazione degli accessi ecc.) ed il gioco è sostanzialmente fatto. Rendere sicuro un ambiente urbano equivale a voler rendere sicuro un ambiente che, attivamente e passivamente nonché per conformazione intrinseca, è carente di tali accorgimenti. Non è possibile rendere sicura un area urbana se non si ha precisa cognizione del fatto che tutta la popolazione sia stata censita e in qualche modo possa essere monitorata, e questo come è facilmente intuibile non è fattibile in contesti ordinari. Tuttavia, esistono accorgimenti per diminuire i rischi e a ciò arrivano, senza neanche poter per questo essere sicure al cento per cento del risultato, metropoli come Londra e Berlino, dove una rete pur capillare (almeno nei punti nevralgici) di videosorveglianza unita a particolari sistemi software di riconoscimento facciale in collegamento reale ed efficiente con le forze dell’ordine, garantiscono un livello mediamente più alto di sorveglianza.
E’ difficile ipotizzare questo per Bari, dove mi giunge notizia che talvolta i poliziotti per far girare le volanti debbano anticipare di tasca propria il carburante a causa della indisponibilità sulle carte fornite dal Ministero.
In che termini potremmo aumentare il livello di sicurezza, rispetto ad un eventuale “incursione” di cani sciolti del califfato?
Mah, guardi, io sono per natura per soluzioni forse drastiche. Il fatto che centomila persone siano svanite nel nulla da CIE, CPT e roba varie (centri di identificazione/permanenza temporanea ndr) è di per sé un segnale pauroso. Ragionando ottimisticamente per percentuali, se solo lo 0,1% degli scomparsi fosse appartenente o simpatizzante dell’ISIS, avremmo in giro per l’Italia/Europa 100 infiltrati barra incursori e non potremmo mai avere la certezza che un paio di loro sostino in punti nevralgici quali supermarket, stazioni carburanti eccetera, anche nella nostra Bari. Non fornisco per ovvi motivi mille altri posti ove questi individui potrebbero volendo arrecare danno alla collettività, ma risulta evidente che per così come sono messe oggi le cose occorre un giro di vite.
Soluzioni pratiche?
Direi con un approccio sistemico: chi sta nei CIE/CPT ha assicurato tutto ciò che serve ad un individuo per sopravvivere. Un tetto, pasti, acqua, vestiario, spazi aperti . Non vedo la necessità – considerando gli attuali rischi potenziali – di tollerare accattonaggio e vagabondaggio per il territorio. Basta accendere la TV per informarsi su come altri paesi risolvono più che egregiamente la questione: identificano il rischio all’ingresso (addirittura con permesso di soggiorno!), lo censiscono, lo rifocillano, si fanno firmare un modulo per il riconoscimento del debito delle spese sostenute e poi provvedono al rimpatrio: l’Australia fa scuola in questo, come gli Stati Uniti del resto.
Quindi ?
Guardi, per come siamo messi occorrono soluzioni in corso d’opera: a Venezia il Sindaco tempo fa con una ordinanza vietò di sedersi per terra o consumare pasti o cose del genere. Spiace dirlo, ma quando è in ballo la sicurezza di una cittadina ma anche di un singolo isolato o si prendono decisioni o se ne prendono altre. Ma in ogni caso servono regole, guarda caso proprio quelle che qui a Bari ma anche altrove non si vedono almeno nei risultati. Ma d’altronde una cosa è fare politica, l’altra avere percezione di un rischio e idonea competenza per individuarlo e dunque prevenirlo o meglio ancora risolverlo.
In che modo in assenza delle istituzioni un cittadino può cautelarsi?
Guardi, gli accorgimenti possono essere mille. In linea di principio, quelli basilari in questi casi sono evitare di elargire mance, muoversi per le attività in luoghi potenzialmente affollati in momenti di scarsa affluenza, segnalare alle forze dell’ordine ogni attività ritenuta sospetta, applicare le regole che ho elencato per la difesa installazioni al proprio immobile o condominio. Ma, devo dire, non è chiudendo il pollaio che si salva il tacchino ruspante se non ci si avvede della volpe nascosta nell’aia: per una relativa maggiore sicurezza di tutti, va rivisto l’intero approccio alla questione immigrati.
Roberto Loporcaro