Ricordo con nostalgia quando ci si allarmava per l’abbandono della scrittura, soprattutto tra i giovani.
“Nessuno legge più” gridavano gli opinionisti in tv, ”nessuno scrive più” facevano eco gli insegnanti: emergenza nazionale, non possiamo tornare analfabeti.
Così la preoccupazione lasciò spazio alla reazione e in men che non si dica qualcuno arrivò a salvarci (forse non proprio qualcuno).
Bookgrammer, booktuber, bookblogger sbarcano così sulla Terra, sbancando il lunario.
Una manna dal cielo, o quasi: giovani, talentuosi, all’occorrenza simpatici, grandi divoratori di libri ed entusiasti recensori; una ghiotta rappresentazione di self-made reader.
Tutto ciò ha quindi fatto gola alle case editrici che, fiutato l’affare, si sono lanciate nell’inseguimento di alcuni tra questi giovani imprenditori coinvolgendoli in diverse strategie promozionali come relatori a festival o fiere del libro.
In sostanza, influencer capaci di spostare l’asticella di interesse su autori emergenti, tallone d’Achille dell’editoria fino a poco tempo fa.
Tutto molto incoraggiante, peccato che dall’evento si sia passati al fenomeno.
In pochissimo tempo, ciò che era nato come semplice scambio di idee e letture in una stanzetta o su una pagina internet poco conosciuta, è stato piegato a moda e artificio.
Giorno dopo giorno, nascono pagine e canali poco credibili che tentano di imitare i ‘big’ dei tempi di gloria; il risultato è ridicolo e bonariamente patetico: un po’ come quando da piccoli, indossati i vestiti dei genitori, si aveva l’illusione di sentirsi grandi.
La nuova ”emergenza nazionale” di oggi? C’è troppo di tutto e quello, si sa, stroppia.