Ricordando la figura di Luigi Spaventa, a Milano, il Presidente della Repubblica ha dichiarato che il politico fu impegnato in Parlamento dal 1976 al 1983, “due legislature entrambe raccorciate, prassi molto italiana, da scioglimenti precoci delle Camere”. Il Presidente con rammarico ha fatto notare che a differenza del passato oggi le diverse posizioni politiche producono “smarrimento di ogni nozione di confronto civile e di ogni costume di rispetto istituzionale e personale”. Una riflessione, quella del Presidente, che lascia davvero l’amaro in bocca. Quella che dovrebbe essere la normale prassi politica basata sul principio della contrapposizione di poteri e di forze politiche diverse è diventata oggi, troppo spesso, un motivo di scontro che si priva della normale dialettica civile e soprattutto del rispetto delle Istituzioni e delle persone. Una denuncia quella di Napolitano davvero grave che arriva all’indomani della minaccia di dimissioni collettive da parte dei parlamentari del Pdl che non arretrano di un millimetro le loro posizioni di blocco della legislatura qualora Berlusconi dovesse decadere dalla carica di Senatore della Repubblica.
Schifani e Brunetta (Pdl) in una lettera aperta pubblicata sul Giornale sono stati molto chiari: “Il modo per uscire dal caos è rispettare la Costituzione'” sulla retroattività della legge Severino.
Sandro Bondi (Pdl) non ha dubbi: “In queste condizioni, prolungare l’agonia di questo governo e di questa legislatura non giova a nessuno tantomeno all’Italia. Questo Napolitano lo sa bene”.
Dal Pd Zanda ha osservato: “La Carta è chiara, chiunque venga condannato in via definitiva deve subire la pena prevista e questo vale per tutti”.
Un empasse dalla quale sembra davvero difficile venirne fuori. Il Paese ha bisogno di un rinnovamento generale a partire dalla sua classe dirigente che abbandoni gli interessi di parte e abbia a cuore le sorti della nazione. Ha ragione il Presidente Napolitano, si torni al confronto civile, magari duro ma rispettoso delle Istituzioni e delle persone. Si abbandoni la politica celebrata “negli stadi” o nelle “arene”, come se fosse una partita di calcio che vede sugli spalti le contrapposte fazioni di ultras.
E’ tempo di cambiare e crescere.
Antonio Curci -curci@radiomadeinitaly.it