La difficile realtà di Carbonara è un fatto ben noto a tutto il corpo civico barese. Criminalità e povertà la fanno da padrona in un contesto cittadino sempre più vecchio ed ignorante. Tuttavia, nel cuore del quartiere si mantiene una forza viva ed autentica: l’Opera San Nicola. Si tratta, più precisamente, di un’associazione di volontariato, che garantisce una mensa per 400 famiglie, un piccolo ambulatorio pediatrico per i neonati dai 6 ai 18 mesi ed un servizio di recupero scolastico pomeridiano per i ragazzi. Il tutto è brillantemente organizzato e gestito da Don Mario Persano, che abbiamo intervistato per voi lettori.
Come e quando nasce l’Opera San Nicola?
L’idea dell’Opera San Nicola è successiva, in realtà. L’intento era quello di dare un immagine pubblica ed organica, soprattutto, ad una serie di attività che già si portavano avanti in parrocchia. La mensa per i poveri la si fa già da 20 anni, l’ambulatorio anche. L’Opera San Nicola, invece, è nata 3 anni fa e vuole essere un’associazione di volontariato slegata dal mondo parrocchiale. Cristiani e non, credenti e non, dunque, possono prendervi parte, se interessati. In questo modo, l’Opera San Nicola può anche avere una maggiore visibilità anche sul piano istituzionale.
Lei vive qui da 30 anni, riscontra sostanziali cambiamenti all’interno del quartiere? Se sì, di progresso o di regresso?
Secondo me, Carbonara non è cresciuta, anzi si è impoverita. 40 anni fa, il quartiere era meta di turismo da parte dei cittadini baresi. La vita paesana era più tranquilla, l’aria più pulita. Carbonara, dunque, incarnava l’ideale di isola felice, una realtà parallela allo stress metropolitano. Oggi il quartiere è diventato una periferia. Gran parte della popolazione barese, pertanto, è stata trapiantata nel territorio, dando ossigeno alla delinquenza ed al degrado. I veri carbonaresi hanno dovuto vivere, insomma, la ghettizzazione dei ceti baresi più bassi. Nonostante il progressivo impoverimento di questa realtà, tuttavia, a tenere viva l’Opera San Nicola sono la forza dei volontari e la volontà di aiutare chi soffre e chi ha bisogno.
Lei è anche insegnante in un liceo e all’università. Ha senz’altro a che fare con una grandissima varietà di giovani. Come sarebbe più opportuno rapportarsi alle nuove generazioni?
Premetto col dire che, per me, è una grande occasione essere costantemente a contatto con i giovani. Posso incontrare centinaia di ragazzi ogni settimana: questa è la mia fortuna. Ho modo di parlare con loro, entusiasmarli. E il loro riscontro è spesso positivo. C’è chi mi aiuta nella mensa ad esempio. Inoltre è stato stato portato a termine un progetto di alternanza scuola-lavoro da parte dei miei alunni, all’interno della Onlus. Credo sia un’enorme opportunità.
So che lei ha scritto un libro “La ricerca della Bellezza”. Ne può parlare?
Credo che nella vita bisogna ripartire da un punto-chiave: qualcosa di attraente. La realtà si muove per qualcosa che attrae. La Bellezza è ciò che ci attrae, ciò che ci muove e commuove allo stesso tempo. Ci motiva, ci interroga. La Bellezza è vera e va cercata con gli occhi sgranati. Rappresenta lo splendore del vero, e lo splendore della Cristianità. L’obiettivo è quello educare il cuore alla Bellezza. Se manteniamo rapporti veri ed autentici, se vogliamo approfondire la Bellezza che incontriamo, innamorandoci, siamo vivi.
Come la popolazione del posto interpreta il suo lavoro?
Possiamo dire di essere molto stimati per quello che facciamo. Chiaramente c’è chi si fa coinvolgere; c’è chi, mosso da invidia e cattiveria, ci mette il bastone fra le ruote. Si preferisce spesso mantenere lo stato delle cose, piuttosto che chiedersi se sia opportuno aiutare o meno. I volontari sono la forza del cambiamento, l’unica in questo quartiere, in realtà. Spesso durante le mense, si crea confusione destando l’irritazione di chi non fa nulla, e guarda da lontano.
Si creano momenti di astio tra i bisognosi nel momento in cui ci si deve assicurare i donativi della mensa?
Non disponiamo di una precisa divisione dei prodotti nel nostro emporio. Capita, spesso, che qualcosa finisca prima, obbligando alcune famiglie a ripiegare su altro. Noi diamo la precedenza alle famiglie con bambini, è il nostro criterio principale. Spesso ci sono dei contrasti tra i poveri, ma sono inevitabili. A volte dipende dal senso di amore di una persona, dalla sua educazione alla Bellezza, appunto. C’è chi mi ringrazia e chi, invece, se ne va sbattendo la porta. Tuttavia, noi non facciamo altro che dare quel che abbiamo.
Come far fronte alla carenza dei volontari?
Si fa quel che si può. Le istituzioni hanno, comunque, un ruolo importante per la Onlus. Vi è ora uno stretto rapporto di collaborazione con l’assessorato al welfare, che hanno concesso anche maggiore visibilità all’Opera San Nicola. Spesso molti giovani, invece che scontare pene detentive, preferiscono praticare volontariato nella nostra associazione. Devo ammettere che le istituzioni ci sono molto d’aiuto.
Secondo lei, cosa è più necessario alle nuove generazioni? E soprattutto, cosa manca?
I giovani sono sempre gli stessi. I ragazzi, se stimolati, se coinvolti, possono trasmettere qualcosa di importante. C’è, però, bisogno di un modello, di un esempio che li sappia far affezionare. Se c’è qualcosa che manca oggi sono esempi credibili.
Avrebbe un evento da raccontarci che ricorda con particolare piacere?
Mi viene in mente il ricordo di un pranzo, che fu organizzato per celebrare i miei 30 anni di permanenza in questa parrocchia. Furono invitati tutti i poveri della mensa ed il vescovo. Ricordo con piacere come i volontari imbandirono la sala. Come se si trattasse di un matrimonio. I volontari avevano, dunque, ben inteso il senso dell’evento: la sala era bella. Il povero, abituato a pranzi spartani, ha vissuto un pranzo all’insegna della Bellezza.