Dedicato ai miei studenti di sempre
Quel vecchio, caro e sempre attuale juke-box se potesse parlare, quante belle storie potrebbe raccontare. Storie di amori nati e spesso finiti, di amori facili ma anche impossibili, di amicizie conquistate e poi infrante, di sogni nel cassetto e buoni propositi lavati via dalle prime piogge d’autunno.
Il vecchio e caro juke-box era l’amico fidato al quale confidare i propri segreti nel semplice gesto della scelta di una canzone. Sì, proprio quel motivetto semplice, estivo, che riusciva a toccare e a far vibrare anche le anime più insensibili. La magia del suono della moneta introdotta nella fessura, il pigia pigia dei tasti per la selezione del brano e poi il rumore del disco che scivolava sotto la puntina del braccio del giradischi, il crepitio della polvere sotto la testina ed ecco le prime note… proprio quelle che riuscivano a far voltare tutti insieme i volti ingenui e speranzosi delle ragazze e dei ragazzi alla ricerca di un’emozione, semplice, ma che sarebbe rimasta scolpita nei ricordi più belli della vita.
La sabbia sotto i piedi, il caldo sulla pelle, i corpi patinati dalla salsedine, i capelli arruffati e gocciolanti, la goduria di un ghiacciolo succhiato con avidità per allontanare l’arsura del sole caldo dell’estate. Il profumo del mare e di creme abbronzanti al cocco, le voci di ragazzi spensierati dal futuro incerto ma sereno, i richiami delle mamme e dei papà alla ricerca dei loro figli, gli occhi negli occhi dei giovani innamorati, le frasi sussurrate nelle orecchie e le parole d’amore bisbigliate nel segreto di un’alcova. La vita che scorre lenta e tranquilla nel breve momento di una canzone. Tre minuti di gioia in attesa del prossimo disco.
Era questa l’estate. Semplice, profumata, autentica.
Ho ritrovato quest’estate, nel Salento, sulla meravigliosa spiaggia di Santa Maria al Bagno, il caro e vecchio juke-box. I ragazzi ancora lì… vicini ma lontani, soli, ognuno con le sue cuffie nelle orecchie a sentire i tum tum cha delle loro a volte incomprensibili canzoni. La musica, quella che una volta era capace di avvicinare le anime, diventa d’un tratto motivo d’isolamento. Non si parla, si chatta. Non si discute, si commenta. Non ci si accarezza, si scambiano foto. Telefonini iper-tecnologici intenti a gridare nelle orecchie dei tanti giovani il lamento di una generazione ancora sofferente.
Cosa è cambiato? Anche io sono diventato come i miei genitori quando erano incapaci di comprendere quelli della mia generazione? E’ normale in fondo. Forse anch’io sto semplicemente e inesorabilmente invecchiando. Forse sto tentando di ricucire le ere della mia vita attraverso la navigazione dei ricordi. Sto usando il browser nella mia mente per sfogliare i tanti siti che raccontano della mia esistenza. Perché anche io esisto. Ed è importante saperlo, proprio qui, su questa bella spiaggia del Salento. E mentre penso e ripenso alle estati della mia vita, ecco che attacca lui… il vecchio, caro e mai dimenticato juke box. E’ la voce di Antonello Venditti che canta Giulio Cesare con i suoi 34 alunni della III E, tutti belli ed eleganti tranne lui. Era il 1986 quando il “nostro” juke box, attraverso la poesia di Venditti, cantava di vite che stavano crescendo, come il vento: le nostre. Sono passati quasi trent’anni e per tre minuti sono tornato quel ragazzo della “maturità”, quello che sognava e smaniava di conoscere “quel futuro sconosciuto dentro me”. Ho sfogliato volti mai più rivisti, visi invecchiati come il mio, amori finiti e anche quelli mai nati. Ho accarezzato sensazioni cancellate dal tempo e dal tran tran quotidiano. Ho riascoltato le voci della mia giovinezza, i dinieghi di mio padre, “una montagna troppo alta da scalare”, le risate, gli scherzi, i falò in spiaggia e il piacere di una bibita fresca. Ho risentito il profumo dei capelli appena lavati di quella ragazza impossibile. Ho rivisto mani nelle mani.
E’ cresciuta questa vita mia, canta Venditti, come il vento. Ed è proprio così, sto diventando grande. Davanti alla mia scuola pensavo “viva la libertà” ed ora dov’è finito “il coraggio di quei giorni miei”?
Sfumano le note e si dileguano trent’anni di ricordi in tre minuti di canzone.
Vicino al juke-box ci sono solo io, un penoso nostalgico che si rintana nei fumi dei ricordi. Ma è fumo e il passato svanisce. I ragazzi in spiaggia sono rimasti a rosolare sui loro belli asciugamani colorati con le cuffie ficcate nelle orecchie a smaltire notti da leoni. Ognuno con i suoi pensieri, ognuno con la sua solitudine.
Come sta quel ragazzo dell’86? “L’estate era nell’aria e si brindava alla maturità”. L’Europa era lontana e volevamo partire per la libertà. Dov’è finito quel ragazzo dell’86?
Ognuno ha una sua risposta.
Io sono qua. Non sono partito, ma grido ancora per la libertà. Quella “terribile malattia” con la quale mi piacerebbe contagiare i miei studenti, perché nel frattempo, quel “ragazzo dell’86” che brindava finalmente davanti alla sua scuola, oggi, è ancora lì, dall’altra parte della cattedra.
Cari miei studenti, all’inizio di questo nuovo anno scolastico, l’estate è ancora nell’aria, noi siamo l’Europa, ma la libertà, la vostra, dipende solo da voi. Cercatela, conquistatela con l’impegno, afferratela e non lasciatevela portare via.
Il tempo della giovinezza è magico, ma presto le piogge degli autunni arriveranno e tante estati passeranno. Se riuscirete a essere liberi, scoprirete che la vita è meravigliosa, sempre… cari eterni ragazzi del 2013.
Antonio Curci – curci@radiomadeinitaly.it