E, alla fine, ecco l’altro giro di boa.
Con scenari non del tutto cambiati, probabilmente solo deteriorati rispetto alle aspettative pur pessimistiche dei migliori analisti.
E così, mentre la Marina Militare giova della approvazione di circa 5 miliardi di fondi per rinnovare un parco navigante ricolmo di problemi pregressi frutto di erronee scelte nei decenni passati (navi zeppe di amianto, inidonee agli attuali scenari, frutto di inspiegabili acquisti e riarmamenti) e ben tre governi hanno campato a “stiamo provvedendo, vedremo, faremo”, oggi ci ritroviamo con l’ISIS dietro l’angolo e con un militare illegittimamente sequestrato dal Governo di una ex-colonia Britannica, colosso industriale ancora incapace di trovare quel senso di Stato e di propria collocazione in uno scenario internazionale fatto di cooperazione e di rapporti anche politici.
Alla fine, il mondo l’ha capito, ci presentiamo agli sguardi internazionali mentre mangiamo sorridenti il gelato ben scortati da decine di agenti dentro un pomposo cortile di marmi e stucchi e colonnati, mentre ad un’ora di volo a questo punto estremisti possono tranquillamente organizzare squadriglie di incursori confuse tra disperati in fuga dall’ennesima guerra etnico-religiosa, magari guadagnando su questa fuga di senza meta, e magari potendo organizzare meglio un sostanziale fronte ostile il cui prossimo passo – a questo punto suggeriscono gli esperti – non può che essere uno sbarco sulle coste della Sicilia o magari, perché no, direttamente nel Lazio o a Taranto.
Impegnato in lotte intestine o in ultrapopuliste pre-campagne elettorali, probabilmente il (non) piano del meno accorto governo di cui si abbia memoria in questo cinquantennio in queste due settimane è stato infine rianimato dalle relazioni dei Servizi segreti, da qualche accorto capo di Stato Maggiore o magari perché no anche dalla collaborazione in area Nato di qualche man in black che sarà andato a dare il buongiorno nottetempo a chi di dovere per avvisare che era infine arrivato il momento di far sloggiare Italiani e tutta l’ambasciata dalla Libia.
Della serie: vi avevamo avvisato, ora non possiamo fare altro che dirvi non solo che fare, ma di farlo ora.
In tutto questo, mentre come ogni periodo post-crisi che si rispetti – ovviamente casualmente – cominciano ad arieggiare venti di guerra (pardon, operazione Umanitaria), improvvisamente tacciono i cannoni ad aria, le bocche di quel pacifismo indomito e tantrico, incurante dei contesti, addirittura con picchi di idiozia consegnata alla storia da qualche parlamentare che aveva suggerito un “dialogo” con i tagliateste.
Ce lo immaginiamo, il Sergente Girone, relegato nell’ambasciata Italiana in terra indiana.
Immaginiamo la sua angoscia che cresce, da tre anni ospite forzato in una terra ormai ostile, mentre pensa alla sua professionalità costretta tra quattro mura mentre la propria Nazione, con ogni probabilità, si appresta ad affrontare tempi bui in cui verrà fuori, davvero, tutta la realtà dei princìpi di “professionalizzazione delle forze armate”.
A noi quel marò manca.
E non soltanto per un senso di devastante impotenza di fronte ad una ingiustizia così palese da risultare comica, nella ormai totale latitanza della casta.
A noi quel marò manca perché è un professionista che si è formato e ha studiato principi ora necessari ed indispensabili, e in questi tempi più che mai utili, per la Difesa della nostra Nazione.
In tempi ormai lontani da quelli in cui sinistre correnti pseudo-pacifiste e obiettrici hanno caldeggiato l’abolizione del servizio di leva obbligatorio, i più accorti si chiedono che cosa accadrebbe con scenari estremi, con un popolo ormai sostanzialmente demilitarizzato e in qualche caso desolatamente laido, nel caso in cui il nemico dovesse – fortunosamente – varcare il confine o, addirittura come qualcuno ipotizza, subdolamente lo abbia già fatto.
Rimane la NATO, Dio non voglia.
Perché, diversamente, le malelingue già sostengono che se si aspettasse Bruxelles e una delibera di assistenza militare dell’UE all’Italia invasa dai tagliateste, tra commissioni ed esperti, revisioni e rettifiche, circolari ed emendamenti, riserve e mozioni, San Pietro in Vaticano sarebbe già la capo moschea d’occidente.
Resta, in questo scenario, oltre la paura, una sola certezza: i nostri ragazzi in divisa, tutti, accompagnati da una buona dose di buona sorte predisposta dal buon Dio.
Un motivo in più per pretendere il rilascio del Marò tutt’ora prigioniero.
Roberto Loporcaro