Il 9 ottobre due esplosioni hanno provocato la morte di circa cento manifestanti (tantissimi giovani) durante un corteo per la pace che si stava svolgendo ad Ankara (Turchia) per chiedere lo stop del conflitto tra il governo turco e i ribelli curdi, sostenuti in particolare dal Pkk, il Partito dei lavoratori del Kurdistan.
Il Pkk è un partito che lotta per difendere i diritti e l’autonomia dei curdi, una minoranza etnica che è presente in Turchia, Siria, Iran ed Iraq.
Dal 2013 il Pkk, tramite il suo leader Abdullah Ocalan, aveva dimostrato di volere avviare un periodo di pace con il governo turco, cessando gli attacchi, ma il clima tra le due parti è diventato nuovamente teso a causa di episodi come l’attentato nella città di Suruc in cui sono morti attivisti curdi e l’uccisione di alcuni poliziotti turchi.
Lo scenario politico e socio-culturale all’origine dell’attentato di Ankara è estremamente complesso a causa dei tanti attori in gioco (i principali sono il primo ministro turco Ahmet Davutoglu, il presidente della Repubblica Erdogan, il Pkk, lo Stato Islamico) e della presenza di più fronti di guerra, contro l’Isis e contro il Pkk, aperti dalla Turchia nei mesi che precedono la strage.
La situazione è particolarmente delicata se si considera che il primo novembre si terranno le nuove elezioni in Turchia (dopo quelle del 7 giugno che non avevano portato alla formazione di un governo e che sono state una vera sconfitta per l’Akp di Erdogan) e che quindi gli interessi politici in gioco sono molti.
La manifestazione pacifista era stata organizzata dal partito curdo moderato Hdp (Partito democratico dei popoli) che ha visto crescere il suo consenso alle ultime elezioni e da alcuni gruppi di opposizione.
I manifestanti accusano il governo turco di essere il responsabile dell’attentato mentre le istituzioni turche dicono di avere identificato uno dei due kamikaze e che la matrice dell’attacco potrebbe essere di natura islamista o curda.
La gente è scesa in piazza ad Ankara per partecipare al corteo in memoria delle vittime dell’attentato terroristico e per posare dei fiori vicino al luogo della strage ed altre manifestazioni sono state organizzate ad Istanbul e in altre città turche per protestare contro il governo, attraverso slogan e striscioni.
Il Papa durante l’Angelus ha espresso parole cariche di dolore per le persone uccise e per i loro familiari, condannando la barbarie dell’atto.
La popolazione turca si ritrova a dover fare i conti con il post-attacco, il più grave avvenuto fino ad ora nel Paese, e con le perdite umane, senza avere chiaro quali e quanti sono i nemici da combattere e sconfiggere.
Cristina De Ceglie