Subject: Santa Messa Suffragio Don Tommaso Latronico – Domenica 21 Luglio
Cari amici,
nel 20° Anniversario della morte di Don Tommaso Latronico, Domenica 21 Luglio 2013, alle ore 19.30, presso l’Anfiteatro di Nova Siri Marina (MT),sarà celebrata una Santa Messa di Suffragio.
Presiederà Mons. Francesco Nolè Vescovo di Tursi-Lagonegro
Quando si passava dalla Chiesa di Santa Croce dopo la Messa con i ragazzi che frequentavano l’Università di Bari, l’aria era sempre frizzante, non sapevi il perchè, ma lo vivevi senza saperlo, intuendo che una gioia più grande una contentezza presente è possibile sin da quaggiù. Sono passati 20 anni dal 1993 quando un male incurabile ti ha strappato dalla nostra presenza per riunirti alla grande presenza, un giorno ci rincontreremo e nessuno ci potrà togliere la nostra gioia. Sarebbe facile continuare con l’esperienza personale, preferisco lasciare spazio alle tue parole Don Tommaso, ma ti chiedo, continua, insieme al Beato Giovanni Paolo II, don Gius, don Giacomo guardateci dal cielo.
vs vitopietroloporcaro@libero.it
Nato a Nova Siri (Matera) il 17 novembre 1948, don Tommaso Latronico è morto a Roma il 20 luglio 1993. |
Alcuni appunti di Tommaso Latronico
Nell’esperienza dell’uomo tutto passa e finisce. Soprattutto le cose belle (l’infanzia, l’amore…) sono destinate a finire nel rimpianto, nella nostalgia, e nel ricordo. C’è una sola esperienza che inizia e non finisce, e con il tempo cresce: è l’incontro con Cristo.
È unico perché inizia in modo inimmaginabile, imprevisto e interessante, ti corrisponde e poi – se si rimane, se lo si guarda – è destinato con il tempo a crescere: non sei tu che cresci; che anzi invecchi, sei fragile e pieno di peccati, ma è quell’avvenimento che cresce e, guardato attentamente, corrisponde, non censura, perdona.
L’unica condizione per essere cristiani è guardare a Cristo come si è fatto riconoscere.
Qui è tutta la differenza tra l’esperienza cristiana e le altre religioni: che il cristianesimo ti dice “guarda”.
Anche Giuda ha fatto un incontro vero («un giorno venne quest’uomo»), anche lui si è stupito di un accento unico, lo ha seguito, «ma poi passavano i giorni e il Regno suo non veniva».
Perché non veniva quel Regno?
Perché era già presente, era Lui presente; e invece in Giuda prevalevano immagini, pensieri, progetti. Non si stupiva più. Non si stupiva di Zaccheo, della Maddalena…
La differenza tra gli uomini non è allora tra chi è santo e chi è peccatore, ma tra coloro che Lo guardano e coloro che Lo tradiscono («con gli occhi scaltri a fuggire»).
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Alla nostra incapacità fondamentale (siamo niente) ed esistenziale (il peccato) ha risposto Dio.
A una incapacità vera, la risposta non è nostra. La nostra è una risposta alla Risposta.
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… E tutto inizia, tutto inizia portandoti altrove: un collegio (20 anni fa) o una clinica (oggi) e poi volti e parole e gesti che ti destano.
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«Un po’ di fortuna ci vuole nella vita»: mi ha salutato così il medico nella camera sterile della clinica e ora anche tu mi dici lo stesso. La mia fortuna, Fabio – un segreto che il tempo svela –, è Roma e una casa.
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«Oggi si sono compiute le cose promesse dall’angelo a Maria» (Antifona dell’Epifania).
La festa di oggi compie, è più importante della stessa nascita di Cristo. A che sarebbe valso che Dio si fosse fatto uomo, che avesse patito, fosse morto per noi… se non fosse incontrabile dall’uomo (dalle genti). Che sia incontrabile significa che diventi il contenuto della felicità presente. Se Natale parla di “grande gioia”, oggi si dice «provarono una grandissima gioia» (… gavisi sunt gaudio magno valde…).
Questo è il mistero di cui parla san Paolo: che questo fatto sia incontrabile dall’uomo normale, dal pagano che non ha né la fede né i comandamenti.
Che impressione! Basta un niente (preoccupazione, distrazione, salute) e non si è più nella posizione richiesta dalla memoria, non si domanda, non si comunica…
«L’unica gioia al mondo è ricominciare e questo è possibile solo se si è perdonati».
Un’altra tappa della malattia: il trapianto, altre visite, esami, reparti, medici, ammalati…
Continuo a chiedere alla Madonna che mi dia la salute e la fede. È così facile ripiegarsi, preoccuparsi. Mi meraviglio sempre di più di come abbia potuto fare con facilità questi tre mesi di terapia. «La Tua grazia Signore vale più della vita».
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«Maestro, dove abiti?». Nel cristianesimo è più importante il «dove abiti?» della stessa domanda: «Chi sei?», avevo sentito dire da Giussani a La Thuile ad agosto quando già avevo la malattia addosso senza saperlo.
Poi i fatti: la decisione di ricoverarmi a Roma decisa con Giacomo, la clinica, i cicli di cura, la compagnia davanti agli occhi, la casa di Casalbertone e di nuovo dentro la vita: il rapporto pieno di tenerezza di Giacomo con i ragazzi, il suo e il loro cambiamento, le cose di don Giussani (è sempre una grazia, la continuità è data sempre da un nuovo inizio…).
Perché smarrirmi allora, se non si comprende, ma è tanto reale?
«La vita non la decidiamo noi», mi ha scritto Fabio.
La vita non la decidiamo noi: non solo come seguito di giorni, ma come inizio nuovo di grazia.
«Stare, guardare, dire di sì».
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Dopo venti anni mi portano dove non vorrei, nei luoghi dove tutto è cominciato e dove tu rimani.
C’è una sola esperienza che col tempo cresce mentre le altre più belle si allontanano. Non mi aspettavo da vecchio di stupirmi quando sto con te a mangiare o parliamo di tutto o ti vedo stare con gli amici più giovani o giocare nel cortile con un bambino…
O giovinezza, non ti ho perduta…!
Se qualcosa riaccade, oggi, se gli occhi che faticano a seguire le lettere, pure scorgono volti e gesti, se non è il ricordo a rendere amici, ma una cosa nuova e viva che sta accadendo ora, o giovinezza, non ti ho perduta…!
«Non che da noi stessi siamo capaci di pensare qualcosa come proveniente da noi, ma la nostra capacità viene da Dio» (2Cor 3, 5)
L’omelia della santa messa celebrata nel diciassettesimo anniversario della morte di don Tommaso Latronico |
Omelia di don Giacomo Tantardini
Sono passati diciassette anni da quando, qui in questa chiesa, davanti a questa chiesa, abbiamo celebrato i funerali di don Tommaso. Tutti questi anni sono passati dentro la misericordia del Signore. Ma la cosa che mi colpisce, a ripensarci, è che anche allora, anche nel ’93, si viveva di quello che faceva il Signore, e questa, soprattutto nell’ultimo anno della sua vita, è stata la cosa che ha reso così vicina, così prossima al cuore di don Giussani e al mio cuore la vicenda di Tommaso, in particolare nei mesi in cui per la malattia è venuto a Roma, dove è dovuto stare parecchio tempo. Si viveva di quello che il Signore compiva, perché non si può che vivere di quello che il Signore compie. Ma forse, allora, nel ’93, pur vivendo di quello che il Signore compiva, credevamo che anche da noi si potesse fare qualcosa. Non era teorizzato questo. In fondo in fondo però anche in noi, anche nelle circostanze attorno a noi, ponevano come una ingenua consistenza, come se anche da noi potessimo qualcosa, come se le circostanze favorevoli attorno a noi potessero essere, in qualche modo, un appoggio, ingenuo, neppure voluto, neppure pensato.
In questi anni siamo stati condotti per mano dal Signore affinché sia evidente, come dice oggi la lettura del breviario, che non possiamo pensare nulla come proveniente da noi (da noi non possiamo fare nulla) e che ogni nostra capacità viene da Dio (cfr. 2Cor 3, 5).
Questi anni ci sono stati dati… – credo che in Paradiso chi ci ha preceduto sia tanto contento di questo cammino che il Signore ci ha fatto fare prendendoci per mano, anzi, prendendoci in braccio, perché quando da noi non possiamo fare nulla non si può che essere presi in braccio, come il bambino piccolo piccolo, che non può neppure camminare, può essere soltanto preso in braccio – … questi anni ci sono stati dati affinché non potessimo pensare di poter da noi fare qualcosa.
Così le parole di don Giussani che ho chiesto di mettere nell’immaginetta di Tommaso di quest’anno dicono quello che ho tentato adesso di suggerire. Giussani dice che siamo proprio come all’inizio del cristianesimo. E l’inizio del cristianesimo ha un unico grande strumento: il miracolo. Colpisce questa parola: “unico”. Era una parola che don Giussani non usava frequentemente. Ma questo “unico” (come dice tante volte sant’Agostino: l’unico Figlio non volle essere solo) abbraccia tutto e tutti. Comunque, unico strumento per il sorgere del cristianesimo è il miracolo. Il miracolo.
L’unico grande strumento è il miracolo. È il tempo dei miracoli. Il miracolo è ciò che fa evidentemente il Signore. Miracolo è quando noi con le nostre forze non possiamo neppure pensare di fare qualcosa. Il miracolo è quando per Sua misericordia, per Sua predilezione, si è come il bambino piccolo piccolo che alza gli occhi e guarda domandando. Ecco quello che possiamo compiere. Ma anche questo guardare domandando non è da noi, perché anche la domanda non nasce da noi. Quello che (quando il miracolo è l’unico strumento) il Signore dona al cuore è guardare domandando. Guardare domandando che Lui agisca, guardare domandando che Lui compia i miracoli.
E c’è un miracolo che attraversa tutti i miracoli del Signore, anzi è il miracolo a cui tutti i miracoli del Signore tendono (anche il diavolo può fare miracoli: il Vangelo e l’Apocalisse insistono sui miracoli che fa il diavolo per ingannare, se fosse possibile, anche gli eletti). I miracoli del Signore hanno questa caratteristica: sono in rapporto alla grazia di Dio. I miracoli accadono perché viviamo in grazia di Dio. Tutti i miracoli hanno come scopo una intimità sempre più reale, sempre più prossima, sempre più dolce, sempre più cara con Gesù. Familiaritas stupenda nimis.
I miracoli hanno come fine il vivere in grazia di Dio. E quando il Signore dona questo miracolo (ed è il miracolo decisivo, è il miracolo che decide dell’eternità beata), quando il Signore dona di vivere e rimanere in grazia di Dio significa che è pronto a dare, secondo i tempi che per fortuna non sono nostri, anche tutti gli altri miracoli.