Nello sport, come del resto nella vita, bisogna saper perdere. Bisogna accettare la sconfitta, anche se amara, anche se ingiusta e, anche, quando è meritata, per meriti dell’avversario o per propri demeriti. Evidentemente questa cultura della sconfitta che in molti Paesi d’Europa è normalmente accettata, qui in Italia è dura da mandar giù.
Lo spettacolo indecoroso offerto dalla squadra di calcio del Napoli sabato scorso prima, durante e dopo la partita è andato in mondovisione, fortunatamente, in maniera tale che tutti hanno avuto modo di capire perché il nostro calcio continua a perdere fascino e appeal da parte degli altri calciatori.
I fatti sono ormai noti, grazie anche a un battage mediatico che ha dedicato all’accaduto fin troppa importanza (per i contribuenti Rai assistere ai commenti scandalosi e con i paraocchi fatti dalla tv pubblica è stato a dir poco sconfortante e vergognoso). Per la supercoppa italiana si affrontavano Napoli e Juventus, ovvero rispettivamente i vincitori della Coppa Italia e i Campioni d’Italia. Le avvisaglie che le cose non sarebbero filate lisce per la squadra partenopea c’erano tutte, dato che, qualche giorno prima del fatidico incontro, due “spioni” erano stati avvistati, redarguiti e cacciati dal campo avversario perché rei di osservare senza permesso, essendo gli allenamenti a porte chiuse, schemi e palleggi degli avversari.
La cronaca della partita invece ci offre lo spettacolo di una squadra che mantiene il possesso palla per cercare di vincere la partita, e di un’altra che, in rapida successione, subisce prima un rigore sacrosanto, poi un’espulsione per ingiurie ad un ufficiale di gara, di seguito una seconda espulsione per fallo di gioco, ancora una terza espulsione (allenatore) per reiterate e veementi proteste. Al termine della gara, la squadra sconfitta (Napoli) ritiene opportuno non presentarsi alla premiazione sua e della squadra avversaria perché si considera vittima di una persecuzione arbitrale.
A questo punto le considerazioni possono racchiudersi in pochi punti: spiare la squadra avversaria è un indice di inferiorità oltre che di maleducazione sportiva che oltre ad essere oggetto di prese in giro da parte dell’opinione pubblica, può anche diventare motivo di sanzioni disciplinari; impostare la partita sul piano solo dell’agonismo e della caccia all’uomo alla fine non porta a risultati positivi, anzi; infine, non presentarsi a fine gara alla premiazione di vinti e vincitori è un grave indice di anti sportività, maleducazione e di mancanza di rispetto nei confronti di avversari e pubblico.
Questa ultima considerazione potrebbe inserirsi e forse giustificarsi se si considera che il presidente del Napoli è un produttore cinematografico e che, evidentemente ha voluto “marchiare” di una nota spettacolare questo evento sportivo, proprio come uno dei peggiori film dei fratelli Vanzina. Ma non finisce qui. È di ieri la notizia che alcuni tifosi della squadra campana hanno deciso di intraprendere una serie di proteste verso la Federcalcio ritenendosi defraudati (!) dalle scelte arbitrali. Siamo alla follia. Il presidente campano dovrebbe ascoltare le parole del pugile Cammarelle che, invece di fare esercizio di dietrologia, ha affermato che il vero derubato è stato proprio lui e non i calciatori del Napoli e, soprattutto, dovrebbe prendere a modello dal pugile il grande rispetto per lo sport dimostrato in occasione della sua ingiusta e immeritata sconfitta alle Olimpiadi di Londra.
Come dire, la sconfitta va accettata, punto senza scatenare inutili e vuote proteste che non stanno né in cielo né in terra. Ma questa è un’altra storia ed un’altra cultura che ancora non appartiene a una certa fetta del calcio italiano, ovvero a chi non è abituato a calcare palcoscenici sportivi internazionali, ma che invece preferisce ricorrere a ciò che fanno i bambini quando stanno perdendo una partita: prendere il pallone sotto braccio e tornare a casa piangendo dalla mamma.
Andrea Alessandrino