“Di rosso era vestito il piccolo Aylan, tre anni, la cui foto nel settembre 2015 suscitò la commozione e l’indignazione di mezzo mondo. Di rosso- si legge nell’appello- erano vestiti i tre bambini annegati nei giorni scorsi davanti alle coste libiche. Di rosso ne verranno vestiti altri dalle madri, nella speranza che, in caso di naufragio, quel colore richiami l’attenzione dei soccorritori. Fermiamoci allora un giorno, sabato 7 luglio, e indossiamo tutti una maglietta, un indumento rosso, come quei bambini. Perché mettersi nei panni degli altri – cominciando da quelli dei bambini, che sono patrimonio dell’umanità – è il primo passo per costruire un mondo più giusto, dove riconoscersi diversi come persone e uguali come cittadini”. Con queste parole è stato lanciato l’appello da Libera.
“Non basta piu’ indignarci – commenta Luigi Ciotti, presidente Libera e Gruppo Abele – oggi bisogna provare disgusto, un disgusto che deve risvegliare le coscienze e salvarle da una passività che le rende complici. La maglietta rossa da indossare è un segno e segni sono importanti ma poi bisogna organizzare il dissenso, trasformandolo in progetti e speranze. Il vero cambiamento passa dai fatti, dal loro linguaggio silenzioso ma profondamente chiaro e vero.”
Eppure, questo simbolo è destinato a sfumare in non troppi giorni. Come i gessetti colorati, le fiaccolate od ogni suo simile. Tuttavia, come una lettura superficiale dell’evento lascerebbe credere, questi “strumenti” di solidarietà non vanno sviliti per via della sua temporanea presa sull’opinione pubblica, la quale ha spesso mostrato di dimenticare in fretta. Un’arma concettuale come una maglietta rossa, piuttosto, oltre a ribadire la propria posizione in merito ad una situazione politica, smaschera il rischio di abituarsi alle tragedie del Mediterraneo. Il simbolo, con ciò che esso contiene, diventa pertanto una bussola per la propria coscienza, smarrita nell’oceano della propaganda strumentale.
Infine, parafrasando lo stesso Ciotti, la presa di coscienza non deve essere fine a se stessa. Anzi, deve alimentare un dissenso forte e determinato contro la rabbia e la disumanità. Non limitato, dunque, a semplici simboli del momento, ma che raccolga la popolazione attraverso una mobilitazione dal basso e che sappia dialogare con le periferie ed ogni altro contesto in difficoltà. Il tutto con l’intento di offrire al paese un’alternativa importante all’odio ed al razzismo.