Un marchio come Monclair, il cui prezzo in media, per i suoi costosi piumini è di 800€ al cliente, vi siete mai chiesti quanto costa all’azienda? E chi produce i piumini? E il lavoro italiano, la cara manifattura italiana, la storia dell’esperienza italiana nella moda, che fine hanno fatto? Il programma Rai, Report, in un servizio inchiesta mostra (tortura alle oche a parte) come un piumino, diversa fattura qualitativa, tra piuma d’oca e anatra contenga al massimo 200g di piumaggio e il cui valore all’origine sia di 30€ tra riempimento e manifattura. E intanto la produzione si sposta oltre confine, tra la Repubblica di Moldova, la Romania e la Transnistria, non riconosciuta dall’Unione europea, e denunciata dalle organizzazioni umanitarie che le hanno i riconosciuto reati contro i diritti umani, spaccio di armi e droga. La produzione italiana, intanto, è delocalizzata per via dei salari più bassi, per la manodopera sottocosto per capi che saranno poi venduti a prezzi esorbitanti. Con una differenza di 20- 30€ a capo si potrebbero realizzare gli stessi prodotti in Italia, da quei piccoli imprenditori che curavano la manifattura e che sono stati liquidati vedendosi togliere dalle mani la produzione che avevano. Nel servizio inchiesta di Sabrina Giannini, il marchio made in italy, che ha fatto entrare stilisti come Prada, Monclair e Dolce & Gabbana nella lista tra gli uomini più ricchi del mondo, viene affidato a mani non italiane oltre i confini, vendendo poi un prodotto “spacciato” per “made in italy”. E gli italiani, restano disoccupati, loro che hanno nel sangue quel valore aggiunto del made in italy, quella suggestione del marchio e del principio di esclusività su cui si fonda il significato del termine. Quei grandi stilisti che hanno portato l’eleganza e lo stile nel mondo, chiudono le porte in faccia ai confratelli operai che hanno dedicato anni della loro vita e carriera nel nome della moda italiana. Si può produrre in Italia senza perdere? Nella lista degli stilisti italiani più ricchi, però, rientra anche Brunello Cucinelli, anche lui quotato in borsa come i suoi colleghi. Nasce in un piccolo paese dell’Umbria per restarci. Dalla ideazione alla produzione, tutto realizzato esclusivamente in Italia. Quella di Cucinelli è una storia che racconta i successi italiani senza lasciare il Paese che gli ha dato ricchezza. Come lo fa? Valorizzando i giovani, il lavoro artigiano, offrendo corsi e master di studio retribuiti, dando l’opportunità alla forza lavoro che ha contribuito a rendere importante quel tanto caro “madeinitaly”. Il 13 dicembre si svolgerà il convegno annuale sul lusso”backtoitaly”, il tema sarà il ritorno della produzione in Italia, si spera che i grandi marchi tornino a produrre a “casa” risollevando unsettore che non ha quasi più nulla di manifatturiero italiano.
Raco Giuseppina