Ho preso parte attivamente nei giorni scorsi ai tre incontri pubblici organizzati per presentare le proposte formulate per il nuovo PUG – Piano Urbanistico Generale di Bari.
Intanto, la partecipazione: la sala del Fortino si è riempita di professionisti, ma di pochi Amministratori del territorio metropolitano e di pochissimi cittadini “normali”. Per me, che ho curato per vent’anni con il Laboratorio Urbano e negli ultimi anni con il Laboratorio Urbanistico Partecipato della Prima Circoscrizione un rapporto sinergico tra amministrazioni cittadine e abitanti, questo non è stato un bel segnale. L’esperienza mi dice che, anche con tutta la buona volontà, promuovere partecipazione non significa riuscire a realizzarla, poiché gli individualismi sono esasperati e molto superficiali ed è più facile contestare la mancanza di spazi e strumenti di partecipazione, che veder la gente cogliere le occasioni proposte.
Tuttavia, questo doveva essere un elemento strategico e irrinunciabile e la presenza tra i consulenti del gruppo di progettazione del prof. Raymond Lorenzo, ben noto esperto in progettazione partecipata (specie con i più giovani) mi aveva fatto ben sperare. La sua figura è invece rimasta alquanto ai margini. Tuttavia, chi ha voluto esserci ha potuto ascoltare, esprimersi, proporre e anche criticare e contestare, in piena e totale libertà. Auspico fortemente che, conclusa questa prima fase con la consegna della bozza di PUG strutturale (finalizzato anche alla formulazione della Valutazione AmbientaleStrategica), si riavvii un percorso ben più coinvolgente e anche più fisicamente decentrato, così come da tempo avevo suggerito al gruppo di lavoro.
Il primo incontro, coordinato come i successivi dall’arch. Giovanni Cafiero, è stato dedicato al recupero dei valori dell’agricoltura periurbana, quella grande potenzialità produttiva che interessa le aree più vicine al territorio edificato ma, in una visione finalmente e correttamente metropolitana, fa da tessuto connettivo fra i Comuni dell’area barese. Ne parla in profondità anche il Piano Paesaggistico Territoriale nel suo “patto città-campagna” come risorsa strategica per la riqualificazione fisica egestionale dei territori, una rivalutazione produttiva ed economica e una risorsa anche in termini sociali e culturali.
Su questo sono intervenuto presentando il “progetto di conoscenza” rappresentato dall’Ecomuseo Urbano del Nord Barese e parlando delle realtà del territorio compreso tra Palese e Santo Spirito, Giovinazzo, Bitonto e Modugno. Ho raccontato del disastro fisico di aree disattese e dimenticate (tra cui lama Misciano, in territorio ASI) in cui però un’agricoltura di gran pregio ancora presente e straordinarie risorse storico-paesaggistiche possono fungere da volano per una recuperata valorizzazione. L’agricoltura a km. 0 è stata sempre una realtà a Bari, ma in quest’ottica può fortemente e positivamente condizionare un recupero di qualità di vita delle aree più periferiche, dove ad esempio l’offerta di mercatini dell’agroalimentare autoctono deve risultare costante e fortemente attraente. Inoltre, proprio per la presenza di importanti valori storici e identitari (torri, masserie, manufatti in pietra a secco quali pagliai, palmenti, frantoi, nonché pozzi medievali, ipogei, tombe molto antiche), il coinvolgimenti degli stessi agricoltori, ai quali va proposta una incentivazione logistica e fiscale, nel recupero di tali beni storici e nella loro valorizzazione turistica e commerciale, può e deve risultare assolutamente strategico. L’azione di cooperative (giovanili e non) nella riqualificazione del territorio e nella gestione delle risorse materiali e immateriali anche a fini didattici, culturali e turistici, può e deve rappresentare fonte di importanti risorse dal valore economico e sociale.
Nella seconda giornata si è parlato di trasporti, con dettagliate tavole esplicative delle iniziative prospettate. Il gruppo di lavoro ha in questa fase privilegiato soluzioni di trasporto pubblico urbano su gomma – con bus di ultima generazione e non tram come da molti auspicato – gestito come rete a percorsi preferenziali e specializzati. Una distribuzione di aree di scambio intermodale (più esterne e meglio distribuite degli attuali park&ride) garantirebbe un assorbimento ben più significativo del traffico veicolare privato in arrivo. Si è discusso di una migliore interazione del percorso autostradale con la rete rbana e con l’area aeroportuale e portuale, ma questo risulta ad oggi un elemento solo virtuale, vista la indisponibilità della Società Autostrade a realizzare un nuovo casello che consenta tale interazione.
Si è parlato molto poco delle reti ciclabili, ma questo era già stato preannunciato come interno alla rete ecologica e ne ha comunque parlato il prof. Gabrielli.
Si è discusso del sistema ferroviario e delle operazioni in corso per rendere la rete intermodale. Nel mio intervento ho ricordato quanto sia fondamentale che si dia soluzione definitiva e inequivocabile al grave problema dell’attraversamento ferroviario della parte ovest di Bari (Palese e Santo Spirito) che da decenni attende l’interramento o l’allontanamento dei binari dalle proprie aree urbane. Nel rispondere, il relatore ha rinviato a scelte dell’Amministrazione regionale la soluzione ad una tale richiesta. Non è e non può essere così: in questi anni amministrazioni comunale e regionale hanno operato in totale reciprocità di intenti e la città e i suoi pianificatori devono poter dare direttive di sviluppo che tengano conto in maniera forte e condivisa dei sentori e dei desiderata delle comunità locali.
In un secondo intervento a fine serata ho inoltre ricordato come la comunicazione fisica gravemente deficitaria, intesa come trasporto pubblico e provato, abbia fortemente condizionato quella sociale e dei flussi informativi, generando un allontanamento se non un’assenza dalla scena urbana delle categorie più deboli della popolazione: bambini, anziani, portatori di handicap. I bambini si vedono un po’ più nelle aree periferiche, ma la loro autonomia, un tempo presente e fortemente costruttiva, nel rapporto con la città, oggi non c’è più ed è fattore di crollo di attenzione, di radicamento, di coinvolgimento anche degli adulti. Ho auspicato atti di coraggio, in quella chiave di lettura aristotelica della città ripresa con forza da Ricciotto Canudo: usare l’intuizione, la visione, come strumento per il passaggio dalla tradizione all’innovazione.
La percezione è che questo non ci sia stato, che stia mancando o sia mancata quella voglia di visioni, di atti di coraggio, che possano modificare davvero la scena urbana: azioni importanti di pedonalizzazione di ampie aree centrali e periferiche (benché nella terza giornata qualche immagine l’abbia mostrata), reale volontà di limitazione radicale del traffico veicolare privato a favore di una forte politica del trasporto pubblico di qualità, spazio e respiro ad una ciclabilità di sistema, enunciata ma non esplicitata, riappropriazione da parte delle comunità locali della scena urbana.
La terza giornata, dedicata al “crescere a Bari”, è stata molto significativa, ma anche molto meno fisicamente partecipata. E’ stata connotata dall’appassionato intervento del prof. Raymond Lorenzo a favore di un rinnovato coinvolgimento dell’infanzia nelle tematiche urbane e nell’esigenza che le visioni dei più giovani siano poste a base della pianificazione territoriale. Più strumenti alle scuole, alla didattica, all’interazione in rete.
Ma è il lungo intervento del prof. Federico Pirro sulla economia urbana legata a vecchi e nuovi processi di industrializzazione ad avere generato forti perplessità. Bari è stata fino ad oggi pesantemente condizionata, nel bene e nel male, dall’economia della grande industria, sia di tipo manifatturiero che edile, con conseguenze ben visibili ai nostri occhi. Aldi là delle cifre proposte dal prof. Pirro e addirittura dalla sua enunciazione del bisogno di altre aree da approntare per una ipotesi, tutta da verificare,di risveglio della grande industria e del ritorno in Italia dell’est Europa di produttori che avevano operato scelte produttive decentrate, la scena territoriale è drammatica: le aree industriali di Bari manifestano un fortissimo abbandono, un devastante degrado fisico e gestionale, una trasformazione anarchica e incontrollata in terre dei fuochi e delle discariche.
Troppo territorio, prof. Pirro, non troppo poco, è stato malamente destinato aduna industrializzazione che, quando si è ritirata come una fetta di carne di cattiva qualità cotta in padella, ha lasciato solo squallore e devastante dimenticanza!
E’ di quei territori tanto malamente sfruttati e consumati che dobbiamo e possiamo riappropriarci. Una economia alternativa e più virtuosa è possibile e doverosa: programmi organici di recupero fisico e culturale del territorio e,come ho indicato nel mio intervento, di economia “identitaria”, che tenga conto delle diversità valoriali delle aree di intervento e non le omologhi nella anonima programmazione industriale. Programmi economici che esaltino le capacità manifatturiere della piccola industria artigianale, anche in termini turistici.
E a tal fine, vorrei sommessamente (ma non troppo) ricordare al prof. Pirro che Bari non è solo la città della Cattedrale, del Castello e di San Nicola: lo è anche! Questi stereotipi da libro della “Bari da bere” andavano bene quando c’era la sensazione che tutto filasse liscio, che quei (pochi) turisti casuali potessero ben essere diretti verso le presenze culturali più note. Ma oggi che intercettare il turismo è non solo strategico ma vitale per le nostre prospettive di vita sulla scena nazionale e internazionale, questo non basta, anzi mortifica la presenza nel tessuto territoriale perturbano di una storia ultramillenaria, fatta di ipogei e insediamenti rupestri, chiese medievali, torri e casali, residui di vita che dal neolitico ha attraversato i secoli lasciando tappa dopo tappa segni identitari greci, romani, longobardi,bizantini, medievali e rinascimentali. Presenze che, se comprese e messe a sistema, possono intercettare importanti ed economicamente rilevanti flussi turistici incernierati intorno alla presenzadel porto e dell’aeroporto internazionali; vicino a questo, ad esempio, c’è una straordinaria costa tutta da valorizzare (non devastandola) e c’è l’area onnicomprensiva di lama Balice, che grazie agli operatori da anni coinvolti con passione nella sua tutela e valorizzazione formula una straordinaria serie di proposte qualitative storico-paesaggistiche cui di recente si sono aggiunte le orme dei dinosauri: davvero, Bari è solo la città di San Nicola?
Ho portato pubblicamente ad esempio quanto è accaduto e continua ad accadere a Palese, parte del nostro territorio ecomuseale, intorno ad un elemento fortemente identitario quale è il palmento “portico di Papapiccolo” in piazza Capitaneo. E’ bastato coinvolgere la scuola media Fracccacreta con iniziative di adozione, perché si risvegliasse introno a quel luogo l’attenzione della comunità locale, che ora esige a voce alta il recupero di un luogo di antica storia e di tradizioni perché le venga riconsegnato per idonei usi culturali e sociali.
Una simile operazione può essere riproposta in altre parti della città e già la collaudammo a Bari vecchia come a Japigia, così come già nei mesi scorsi proposi al gruppo di progettazione del PUG: costituire in ogni circoscrizione/municipio laboratori partecipati di urbanistica e progettazione urbana e individuare altresì luoghi o elementi architettonici identitari, al cui recupero possano partecipare direttamente e attivamente le comunità locali, come punti di partenza per l’indispensabile ricucitura della grave frattura oggi esistente tra popolazione e territorio.Immaginate bambini, adulti e anziani collaborare, insieme ad artigiani e artisti locali, perché la città si risvegli e torni a camminare nei colori, nel piacere dell’ordine e della pulizia, nelle sue prospettive!
Quei laboratori, ina gestione della città definitivamente decentrata, potranno assumere ruolo di agenzie del territorio e collaborare alla condivisione strategica del Piano Urbanistico nelle sue declinazioni sociali, economiche e produttive, culturali e di valori del territorio.
L’intervento dell’arch. Mauro Sàito è stato molto ricco di spunti. Egli ha prodotto una serie di valutazioni su come fisicamente e logisticamente il territorio urbano possa nel tempo trasformarsi grazie alle proposte formulate nel PUG; un lavoro a mio avviso intelligente e ben giustificato, senza il quale saremmo a volare in un turbinio di prospettive virtuali. Davanti ad un foglio bianco si può discutere ben poco, ma quando qualcuno lo ha vergato o disegnato, da quel momento si può più facilmente esprimere la propria critica, condivisione,contestazione. Mi ha sorpreso positivamente, ad esempio, la visione che egli ha offerto dell’area a cavallo tra Fiera del Levante, Stadio della Vittoria e pineta di San Francesco. Gliene avevo parlato giorni fa, pur non conoscendo il lavoro che egli aveva prodotto e gli avevo espresso la mia visione di un “distretto sportivo-culturale-produttivo e tempo libero” che fosse sostenuto da un tessuto connettivo di forte inverdimento urbano.
La prospettiva offerta dall’illustre collega è stata sintesi di tali mie visioni, confermando che possono esserci percorsi che partono da punti di osservazione diversi, ma che sono destinati a confluire, se basati su analisi sane e corrette, in un unico punto di condivisione. Molto meno, torno a dichiararlo, mi ha convinto la riproposizione dello scenario dell’area portuale lungo il corso Vittorio Veneto, con il riempimento dell’ansa di Marisabella acquisito come già realizzato e la più che condivisibile, invece, proposta di realizzazione, più in direzione del porto commerciale, di una piattaforma di accoglienza di un grande acquario. La forte preoccupazione di noi tutti è che su quell’intera area, oggi già molto intasata di traffico, piombino le due arterie della camionabile e dell’asse nord-sud con evidente aumento di traffico pesante: nei prossimi anni si aggiungeranno la realizzazione (area ex Gasometro) del nuovo Palazzo comunale e grandi interventi di lottizzazione, ai quali si sommeranno le periodiche movimentazioni fieristiche e sportive.
La relazione dell’arch. Sàito è stata contestata, specie nelle parti prefiguranti scenari di progettazione e razionalizzazione di aree urbane, da colleghi convinti di assistere a passi eccessivamente avanzati rispetto ai “limiti”di uno strumento urbanistico quale è il PUG. Ma al di là di questa situazione,i cui toni espressi non ho in nessun modo condiviso, i punti su cui riflettere sono altri e vanno espressi pubblicamente.
Ancora una volta, nel suo intervento pacato ma preciso, il prof. Bruno Gabrielli ha ricordato che lo scenario su cui si sta muovendo il PUG è, così come doveva essere, radicalmente diverso da quello dell’attuale Piano Regolatore in variante Quaroni: una valutazione che, sulla carta, nessuno contesta. Il dimensionamento previsto di Bari era più del doppio rispetto alle attuali condizioni e il nuovo Piano deve poter prevedere e programmare il riassorbimento del tessuto urbano e urbanizzato con un’azione di forte rivalutazione produttiva delle aree agricole e per il tempo libero. Bene, anzi benissimo. Ma mentre vengono proposti questi scenari ben più lungimiranti rispetto a quanto ad oggi impostoci dalle grandi Imprese e dalla politica ad esse subordinata, è tutto in piedi l’incubo degli oltre 16 milioni di mc. di edificazione possibile che vanno intercettati e rivisitati (per non dire cancellati) alla luce sia delle reali esigenze attuali e a medio termine, sia delle linee di pianificazione prospettate.
Di questa seconda città virtualmente edificabile, alcuni milioni di mc. relativi a ben 16 interventi di lottizzazione già approvati dal Consiglio comunale rischiano di mettere in discussione un PUG non ancora risolto. Discutiamo allora di un Piano Urbanistico virtuoso che rischia di trasformarsi in virtuale? Se tutti e 16 gli interventi – alcuni davvero massicci – fossero realizzati, cosa rimarrebbe dello scenario trasportistico, di quello sportivo, della rete ecologica, del recupero e della valorizzazione del tessuto perturbano agricolo e storico-culturale?Basti pensare a quale ulteriore accumulo di tensione deriverebbe dalla edificazione delle aree Scianatico – zona via Napoli e mercati generali – , una delle parti della città su cui da sempre sono accesi i riflettori, una volta che fosse stata completata l’edificazione in programma: cosa ne deriverebbe alle visioni prospettate dal PUG? In questi giorni, poi, abbiamo documentato e denunciato il disastro eil degrado causati dalla dimenticanza amministrativa ma anche dai lavori di potenziamento della rete ferroviaria lungo l’asse storico di strada San Giorgio Martire, al quartiere Stanic, dove una chiesa ed una masseria di antichissima edificazione soccombono tra le discariche, i rifiuti, l’abbandono e le attività di scavo prive di controllo e tutela. Assenza di controllo e tutela: è il marchio, da sempre, che qui lasciano le grandi operazioni infrastrutturali.
Sono confortato dalle espressioni usate da tutti i componenti il gruppo di progettazione, ma mi chiedo quale sia la reale volontà politica e quale sarà quella prossima, nella quale io stesso cercherò di conquistare un ruolo determinante di gestione. Il conclamato bisogno di recupero dei valori territoriali e del contrasto alla prosecuzione dello sfruttamento dei suoli,avrà rispondenza in politiche davvero destinate a promuovere sistema intorno ai valori materiali e immateriali del territorio, alle sue potenzialità identitarie,alla valorizzazione delle risorse umane capaci di dare valore anche economico alla Cultura, alla Storia, al Paesaggio? O, come sta rischiando di succedere per il Piano Paesaggistico, il fronte delle grandi imprese non riuscirà a capire che non è più tempo per il consumo, ma lo è per il recupero sinergico,la riqualificazione, la qualità della città e del suo territorio che consenta di vivere meglio e far vivere meglio chi verrà dopo di noi? Come accettare contali visioni che luoghi socialmente forti e produttivi vengano svuotati forzosamente del loro contenuto di umanità dolente ma culturalmente costruttiva,come è stato l’improvviso caso di villa Roth a San Pasquale? I suoi occupanti non solo non facevano male a nessuno, ma erano entrati in sinergia positiva con gli abitanti del circondario e rispondevano ad una occupazione “abusiva” di un luogo abbandonato con la rivitalizzazione culturale dei luoghi. A chi hanno fatto del male?
Avrei apprezzato se in queste giornate si fosse discusso delle gravi problematiche sociali presenti in modo crescente a Bari: l’assenza di lavoro sta mettendo in ginocchio tante famiglie, molte perdono la casa e non ci sono soluzioni prefigurate per loro. Ma una grande città che voglia e sappia darsi prospettive, può mai continuare a pensare che le soluzioni-tampone per cittadini diseredati ma dignitosi e di sani principi, che chiedono di lavorare per poter vivere, siano quelle di trasferire forzosamente intere famiglie, come la famiglia Marcato, in altre parti della regione? E’ questa, la Bari dell’anno 2014?
Un’ultima notazione: Bari non è l’area centrale, non è solo quella poichè tre quarti della sua area sono periferia! poco, pochissimo si è discusso in questi giorni delle infrastrutture destinate alle aree più lontane dal centro. Non si è discusso di Carbonara, Ceglie e Loseto, non si è discusso di Torre a mare e poco di San Giorgio; si è discusso di Palese e Santo Spirito perchè ne abbiamo parlato io e Leonardo Damiani, non si è discusso per niente di San Pio e di Catino. allora?
Di questo e altro parleremo nel primo dei forum pubblici che intendiamo proporre alla città, perché in prospettiva delle elezioni i potenziali re si spoglino dell’enfasi e delle facili promesse elettorali: “Per una Bari città aperta: le economie di un territorio ecomuseale”, che si terrà presumibilmente mercoledì 12 febbraio a villa Framarino, nell’area dell’aeroporto di Bari.
L’intuizione quale strumento tra la tradizione e l’innovazione: riprendiamocelo,il diritto di volare alto in una città diversa!
Arch. Eugenio Lombardi –candidato sindaco per la città di Bari