Da parecchie settimane imperversa una campagna elettorale per le amministrative: scene di ordinaria propensione al nuovo appaiono velate da una nebbiolina di già visto, di aria fritta. Persone rispettabilissime pongono ai cittadini quesiti, speranze, in qualche caso statistiche dal risultato evidentemente scontato ma dai presupposti di veridicità di fondo tutt’altro che ineluttabili.
Ingegneri, magistrati, consulenti d’impresa: ciascuno con la sua ricetta per una città in agonia che regge il tacco di uno stivale claudicante, potendo in maniera tutt’altro che potenziale variarne gli equilibri sostanziali non solo come paradigma, ma con fattivo e fisico sostegno.
Le geografie dei candidati sono fluttuose, si mescolano nel retropalco tanto locale quanto centrale: talvolta con improvvisi cambi di rotta e coalizioni, talvolta con posizioni arroccate nei più classici campanilismi; insomma la solita Italia del pressappoco faremo meglio.
Lascia che sia, cantava Umberto Tozzi negli anni novanta.
Una bella canzone non priva di una poetica esortazione alla fuga, al lasciarsi alle spalle l’ovvio e lo scontato.
La cittadinanza aperta ad un sano realismo confonde le aspettative con le inderogabili esigenze, lasciandosi abbindolare fintamente da fiumi di promesse che non potranno essere mantenute.
Persino le scimmie dello Zoo Safari riderebbero di noi davanti a programmi elettorali al ciclostile con punte di velleitario lampo con credibilità da cerino al vento, privi del necessario spunto, del doveroso estro, dell’improrogabile esigenza alla novità come differenza tra vita e morte di un Ente Locale e dunque del tassello importante di una intera Nazione.
Sullo sfondo di questa amara commedia, migliaia di spettatori inermi oppure venduti per un buono spesa al supermercato in una uggiosa Domenica di primarie che sanno di maggioranza bulgara, con la politica in carica che grida fuori la sezione: “Chi ha già votato vada via! Se ne vada!”
E’ uno spettacolo indegno che sancisce la fine dell’ideogramma comunista, in un deserto letteraria di ideologia destrorsa, attraversato a sua volta da un turbinio di populismo che richiama le stelle solo nella evidenza delle stalle.
Un nuovo vecchio Democristiano si aggira spaurito in questo nuovo millennio che ricorda la più decadente delle ipotesi passate: la fame, lo spavento, la non speranza, l’assenza di una concreta aspettativa ma, soprattutto, la non presenza di un carisma.
In un passato dove in un ventennio personalità come Mussolini, Togliatti e De Gasperi guidarono – nel bene o nel male – una intera Nazione verso un incredibile futuro, in questo nuovo millennio si raccolgono i cocci di una assenza di ideologia addirittura criticata dai dogmi della baronia della cultura: non serve l’ideologia, posta in un qualsiasi social network un attempato filosofo che ha ricoperto le vette più alte della cultura Universitaria.
Follia.
Eppure aumentano, all’orizzonte cupo che pur schiarisce, le moltitudini alla ricerca di una evidenza, di un grande assente: il valore aggiunto.
Ecco cosa serve davvero, all’elettore, oltre all’ideologia.
Sarebbe folle pensare che si possa fondare una aspettativa sull’ordinario, sul ripetita iuvant.
Quello che manca è un guizzo, un balzo, uno sguardo illuminato verso una prospettiva.
Si cominci dal sindaco del Capoluogo del tacco d’Italia, si cominci insomma da ciò che sorregge il passo di un intero paese.
Roberto Loporcaro