Va in archivio, con ben tre giornate di anticipo, un’altra stagione del massimo campionato italiano, dominato per il terzo anno consecutivo dalla Juventus.
Senza scendere in campo, nelle stanze ovattate di un albergo, la corazzata di Antonio Conte si aggiudica, confortata dalla matematica, lo scudetto, il cui esito finale è stato, secondo il mio parere, puntellato nella partita di Marassi contro il Genoa, vero e proprio spartiacque della stagione in bianco e nero.
Ma c’è qualcosa, di antipatico e fastidioso, che rende questo successo meritevole di alcune doverose sottolineature che, sia chiaro, non devono e non possono, nonostante la forza degli eventi, scalfire il gusto della vittoria e l’ebbrezza per il buon risultato conseguito.
Mi riferisco in particolar modo a due episodi di queste ultime 48 ore: la finale di Coppa Italia e la sconfitta della Roma, unica e vera antagonista dei bianconeri nella corsa al titolo, sprone per l’undici di Conte a non mollare per tutto il girone di ritorno.
Partendo proprio dalla squadra giallorossa, è da imputarle lo scivolone in terra sicula che, a mio parere, ha rovinato la festa dei bianconeri, molto più gustosa invece se si fosse ottenuta sul campo.
Una sconfitta però quella capitolina, per certi versi troppo clamorosa per non essere quantomeno foriera di sospetti: come può una squadra (la Roma) proveniente da ben nove vittorie consecutive, ancora in corsa per il titolo, cadere così inopinatamente di fronte a una squadra (il Catania) che, non solo sembrava rassegnata alla retrocessione, ma riesce addirittura a farne quattro ai giallorossi?
Chiamatela come volete: dietrologia, cultura del sospetto o teoria del complotto, ma la domanda mi è nata spontanea.
Passiamo ora alla tanto chiacchierata finale di Coppa Italia.
In questo caso la mia considerazione non è tanto di ordine sportivo, ma, e non poteva essere altrimenti, di ordine mediatico.
Gran parte delle televisioni del Bel Paese, hanno pensato (male!) di dedicare ai fatti accaduti fuori dallo stadio Olimpico di Roma, una parte considerevole di attenzione con servizi, editoriali, approfondimenti, ricostruzioni (si attende con trepidante attesa il famigerato e risolutore plastico di Vespa), tavole rotonde socio-politico-economiche su quanto accaduto, il tutto corredato con l’immagine simbolo del momento, l’icona mass mediatica assurta agli onori della cronaca: il capo ultrà napoletano.
L’inutile luce accecante portata su questo avvenimento ha fatto perdere, per l’ennesima volta ai media, un’opportunità unica: l’oblio.
Ed ecco anche in questo caso le domande di circostanza: poteva l’informazione evitare la cannibalizzazione info-intrattenitiva su un episodio a cui si è data, a posteriori, troppa importanza? Potevano i responsabili delle testate giornalistiche stabilire, invece, a priori un patto in deroga al cosiddetto diritto di cronaca, spesso usato per meri scopi sensazionalistici e privi di contenuto eminentemente informativo per l’opinione pubblica?
In sintesi, lo scudetto della squadra di Conte, definito a giusta ragione dei record, è stato derubricato da quanto visto in televisione, quasi a fatto secondario, a tratti fastidioso.
Ha perso cioè la giusta ribalta della cronaca, spostato verso il basso nell’agenda dell’informazione radio-tv.
Ma per i padroni del vapore dell’informazione sportiva vi è ancora la possibilità di rimediare e di fare ammenda degli errori commessi, dato che rimangono ancora tre partite alla chiusura della stagione.
Un’occasione da non perdere per celebrare degnamente, come è giusto che sia, i neo campioni d’Italia.
Chissà se qualcuno ancora se ne dimenticherà…
Andrea Alessandrino