Dati sulla condizione mentale del paziente sono importanti. Ottenerli tramite domande opportune durante il colloquio clinico è il fine cui il terapeuta tende. Se tali domande fanno parte del corpo centrale del colloquio clinico, il paziente ha modo di vedere le distorsioni della percezione, del pensiero e degli affetti in un contesto significativo. Inoltre, evidenziando le connessioni fra tali distorsioni e la malattia il paziente risulta maggiormente coinvolto come collaboratore, e non si limita a rispondere passivamente alle domande che gli vengono poste.
Sia i terapeuti descrittivi che quelli ad orientamento dinamico sono interessati ai dati sulla condizione mentale dei loro pazienti, ma in maniera abbastanza differente. Mackinnon, Michels, 1971, affermano :” Innanzitutto, nella misura in cui è ragionevole e possibile, preferiscono inserire le domande relative all’ esame dello stato mentale all’ interno dell’ intervista clinica piuttosto che aggiungere alla fine una lista di domande standardizzate.”
-Orientamento e percezione:
Nel corso del colloquio anamnestico appare chiaramente l’ orientamento di un paziente rispetto al tempo, allo spazio ed alle persone. Tant’ è che porre domande specifiche sull’ orientamento ad una persona che è di per sé già ben orientata può facilmente disturbare il rapporto terapeuta-paziente. L’ ipervigilanza è un’ altra condizione mentale che si svela da sé, senza che sia necessario porre direttamente delle domande. Disturbi percettivi, quali allucinazioni uditive o visive, saranno spesso evidenti all’ inizio del colloquio, quando viene chiesto al paziente di spiegare la ragione per la quale è stato richiesto un trattamento psicoterapeutico.
Quando un paziente ode delle voci, allo psicoterapeuta interessa conoscere cosa dicono queste, in quali circostanze parlano, alla voce di chi rassomigliano, e che cosa significano per il paziente. Esempio è offerto dal caso di un paziente di Gabbard, schizofrenico, paranoide che sentiva sempre la voce del padre che gli diceva che non avrebbe mai combinato nulla di buono. Le sue allucinazioni erano correlate con l’ esperienza infantile di non essere mai in grado di fare a sufficienza per soddisfare le richieste del padre.
-Cognizione:
Un disturbo formale del pensiero è evidente di solito nella parte anamnestica del colloquio clinico. Analogamente a quanto già riportato, anche le associazioni slegate hanno connessioni caratteristiche nella mente del paziente, per cui il compito dell’ esaminatore è quello di comprendere la natura di tali connessioni. Anche per quanto concerne i deliri, è più facile che vengano verbalizzati dal paziente in risposta a domande anamnestiche aperte piuttosto che in risposta a domande specifiche. I loro significati e le loro funzioni sono altrettanto importanti. I deliri di grandezza del paziente paranoide possono per esempio servire a compensare i sentimenti devastanti di bassa stima di sé.
La cognizione influenza il linguaggio e la comunicazione. Lo psicoterapeuta deve prestare attenzione ad eventuali paraprassi o lapsus che svelino qualche tratto di funzionamento dell’ inconscio. Donna in gravidanza, risentita per essere stata indirizzata ad una consultazione psicoterapeutica dallo stesso suo ginecologo, ad un certo punto del colloquio clinico esclamò :” Io non voglio essere una parente –voglio dire paziente- psichiatrica!”. Da ciò il terapeuta fu in grado di intuire quanto la paziente fosse ambivalente rispetto al fatto di diventare madre.
Il modo in cui un paziente risponde alle domande che gli vengono poste può dire molto riguardo al suo stile di carattere inconscio. Il paziente ossessivo-compulsivo può rispondere alle domande con un’ esagerata attenzione ai dettagli, chiedendo spesso allo psichiatra di specificare ulteriormente le informazioni richieste. Di contro il paziente isterico può essere così disinteressato ai dettagli da fornire risposte vaghe, tali da suscitare un senso di frustrazione nello psichiatra. Il paziente passivo-aggressivo può generare rabbia nell’ esaminatore chiedendo che le domande vengano ripetute ed in generale ostacolando i tentativi di raccogliere dati anamnestici. Il paziente paranoide può leggere costantemente significati nascosti nelle domande, mettendo così lo psichiatra sulla difensiva.
Determinare la presenza o meno di ideazione suicida è fondamentale per qualunque valutazione psicoterapeutica. Ai pazienti che manifestano tendenze suicidarie dovrebbe essere chiesto chiaramente se abbiano un progetto di suicidio ed una rete di sostegno di persone con le quali poter parlare prima di agire impulsivamente. La diagnosi psicodinamica dovrebbe discernere ed analizzare il significato del suicidio premeditato:
– C’ è una fantasia di riunione con una persona cara morta?
– Il suicidio è un atto vendicativo diretto ad indurre disperazione in una persona che in passato ha reso disperato il paziente?
– Il suicidio è ideato in realtà per uccidere una rappresentazione oggettuale interna odiata e temuta?
– Tra le possibili soluzioni ai problemi del paziente, come mai il suicidio si impone in modo così perentorio?
-Affettività:
L’ osservazione degli stati emotivi fornisce allo psicoterapeuta una miniera di informazioni sui suoi meccanismi di difesa. Infatti, la gestione delle emozioni è forse la più importante funzione delle difese. Si possono incontrare pazienti che:
– Descrivono eventi particolarmente dolorosi della loro vita senza commuoversi che stanno come minimo utilizzando l’ intellettualizzazione.
– Ipomaniacali che affermano di essere sempre di buon umore e si mostrano estremamente allegri con lo psicoterapeuta; essi forse stanno usando meccanismi di diniego o negazione per difendersi da sentimenti quali il dolore e la rabbia.
– Borderline che esprimono disprezzo ed ostilità nei confronti di figure chiave della loro vita ; probabilmente stanno usando la scissione per evitare qualunque integrazione di sentimenti positivi e negativi nei confronti degli altri.
Anche l’ umore, quale sottocategoria dell’ affettività, che coinvolge un tono emotivo interno prolungato, dovrebbe essere valutato. L’ esplorazione degli sati d’ animo di un paziente spesso mette in evidenza rappresentazioni del Sé e dell’ oggetto significative.
-Azione:
Anche il comportamento non verbale del paziente comunica allo psicoterapeuta un gran numero d informazioni nel corso del colloquio clinico.
“Come Freud suggeriva, il comportamento non verbale è una delle strade principali per arrivare all’ inconscio. Le precoci relazioni di attaccamento sono interiorizzate e codificate come memoria implicita.” (Amini et al.,1996; Gabbard, 1997). Ciò che si dispiega nelle interazioni con il terapeuta è il modo in cui il paziente si mette abitualmente in relazione con l’ oggetto, modo che è forgiato da quelle relazioni infantili di attaccamento e che è in gran parte non verbale; osserva Gabbard, 2007.
Dunque i pazienti che si dimostrano ritrosi allo sguardo, ossequiosi nei modi, limitati nella loro gestualità ed esitanti nel linguaggio stanno raccontando al clinico molte cose su loro inconscio, sulle relazioni oggettuali interiorizzate e sulle modalità con cui si pongono in relazione con gli altri al di fuori del colloquio clinico.
Dott. Francesco Casciaro