Ne abbiamo già parlato in qualche modo qualche tempo fa.
Posto questo assioma, per la gioia delle personalità più squisitamente scientifiche (o – più verosimilmente – che vorrebbero paventarsi come tali) deve essere vero il contrario per il noto principio logico/matematico.
Conseguentemente, quando si parla di “non fede”, si toccano temi altrettanto scottanti, intimi, la cui propensione o attaccamento rientrano in una dimensione personalissima; questa volta, però, certuni rappresentanti di questo “contro movimento” vorrebbero porre il proprio “io” come “superio”.
Nel ricordare che il credente è chi crede (Cristiano, Ortodosso, Islamico, Buddista, ecc.), l’ateo chi non crede e l’agnostico chi non ha sufficienti elementi per credere e volendo (forzosamente) rendere semplicistico ciò che non lo è, l’homo sapiens sarebbe tentato di accorpare in un unico insieme chi crede e in un ulteriore unico insieme chi non crede o chi non ne ha sufficiente motivo.
Filosofia spicciola da circolo letterario a numero chiuso dopo una riunione su Hemingway e troppi Mojito evocativi.
In una logica democratica (e sobria) di contrapposizione di scuole di pensiero, invece, evidentemente le due semplicistiche correnti varrebbero in egual misura in una fase storica nella quale le due potessero vantare non solo eguale misura di “adepti” ma, si oda oda, idoneo bagaglio storico di apporto alla civiltà sulla base della quale sono nati i principi fondanti della Repubblica che li ospita.
Purtroppo, l’acquiescenza di tale concetto presuppone un minimo senso di orientamento per le strade della vita, a maggior ragione quando si creda che questa sia l’unica a disposizione.
Infatti, in un cristallino articolo della nostra Costituzione – strada primaria e al contempo granitico punto di riferimento per chi voglia risiedere sul suolo Italico – la libertà di credo ( e dunque di “non credo”) è uno dei fondamenti pregnanti, nei limiti dei quali ciascuno non abbia a prevalere (o a tentare di prevalere) sulla libertà altrui.
Conscia della propria riottosa ma spesso inconcludente minoranza, proprio per colmare questo “gap” di tesseramenti, una nota associazione nazionale ateo agnostica – in periodici guizzi che ricordano tanto un pesce in carenza di ossigeno – con una cinica campagna di marketing di “evangelizzazionecontro”getta mine sul fuoco dei tempi caldi che corrono, già aridi di valori per queste nuove generazioni.
Atteggiamenti per molti irresponsabili in un clima di comunicazione sfrenata, ove ciascuno è tentato e sovente preso – nel silenzioso soliloquio col proprio monitor – di diffondere per il mondo la propria verità, il proprio credo, in questo caso il proprio “non credo”, affossando quello degli altri, non importa se antico di duemila anni o più
Barbarie, insomma.
Perché è barbarie, oggi e sempre, diffondere la parola violenta e riottosa al fine di creare divisioni e fazioni laddove invece occorrerebbe concentrarsi sui toni pacati e punti di condivisione al fine di creare unioni e coalizioni, per uscire da questa empasse economica ma, soprattutto, sociale.
Quando si viaggia, nel mondo, i migliori tour operators si raccomandano con il viaggiatore sin dal catalogo nella agenzia di viaggi di avere accorgimenti e tenersi osservatori neutri – se il caso rispettosamente distanti – dalle credenze delle popolazioni locali, per quanto strambe o deliranti possano esse sembrare.
Principi democratici – se ci riflettiamo – del tutto sconosciuti a tali filosofie di pensiero da “superio”, distanti anni luce da civiltà o città civiltà multietniche come Londra o New York, che pure tutte in egual misura si citano ad esempio di integrazione e convivenza, senza per questo che queste abbiano mai anche solo abbozzato il tentativo di scardinare la o le religioni a fondamenta dei rispettivi modelli sociali.
La dimostrazione più pratica dell’esistenza di almeno un punto in comune è che – per quanto la natura umana sia portata alla vacua lotta di pensiero – il varco della morte attende immobile Cristiani e Islamici, Atei e Agnostici , Buddisti e Copti.
Ciò che ci attende dopo quel varco, evidentemente, non ci è dato di sapere perché conosciamo la morte non per quello che è, ma per quello che non è.
Volersi fermare al termine delle attività biologiche, glissando sulle tracce che rendono in qualche modo immortale e profonda la natura umana, è forse voler costruire un muro a ridosso di un precipizio che là risiede dagli albori della civiltà umana pretendendo che, dopo averne illustrato il pavimento antistante, gli altri non debbano più credere nello spazio che vi risiede dietro, semplicemente perché non lo si vede o perché non se ne hanno sufficienti elementi per valutarne l’esistenza.
Per vedere oltre quello spazio, invece, la natura umana (per taluni basata sull’imprinting di qualcosa che ne è al di sopra) ci ha fornito di segnali ed emozioni che ci elevano a poter perlomeno immaginare di scrutare oltre il bordo di quel muro: lo facciamo spesso, nella vita, quando guardiamo gli occhi di un figlio, quando tremiamo dall’emozione per una poesia o un bacio, quando – spauriti – fissiamo un cielo stellato in una calma serata d’estate.
Tutti momenti nei quali, evidentemente, avvertiamo di essere parte a termine di un sistema immortale.
E questa è e sarà sempre, certamente, una ottima notizia;
Per qualcuno, insomma, Dio c’è eccome.
Il paradiso? Spesso quì e ora; per il dopo, moltissimi non chiedono altro se non la libertà di poterlo credere come e quanto gli pare.
Roberto Loporcaro
roberto_loporcaro@virgilio.it