Riceviamo e pubblichiamo la lettera del dott. Gennaro Volpe, presidente di Scienza e Vita di Casamassima
“Forse è arrivato il momento di smontare il mito della crescita, di elaborare un’altra cultura, un altro saper fare, di sperimentare modi diversi di rapportarsi col mondo, con gli altri e con se stessi.”
“In un mondo finito, con risorse finite e con la capacità di carico limitate, una crescita infinita è impossibile, anche se le innovazioni tecnologiche venissero indirizzate a ridurre l’impatto ambientale, il consumo di risorse e la produzione di rifiuti. Da “la decrescita felice” (la qualità della vita non dipende dal Pil. Maurizio Pallante)
il PIL (prodotto interno lordo) è un indicatore che non misura l’incremento dei beni prodotti da un sistema economico, ma l’incremento delle merci scambiate con danaro. Non sempre le merci sono beni, perché nel concetto di bene è insita una connotazione qualitativa, che non è contenuta al concetto di merce. Anche la droga crea occupazione e chi ne ricava reddito può accedere alla sfera delle merci lecite, che altrimenti gli sarebbe preclusa, contribuendo con i sui acquisti alla crescita del PIL. Parlare di PIL vuol dire far riferimento a qualcosa che si somma alla perdita di qualità, che si somma alla perdita di conoscenza, di cultura, del sapere e del saper fare, comunque osannato ed idolatrato perché ha comportato una crescita quantitativa della produzione di merci, del prodotto interno lordo. Il credo nella società industriale ha distrutto progressivamente gli scambi non mercantili, cioè i vincoli del comunicare e del vivere insieme all’interno della famiglia, ove i servizi tra padri e figli fondati sul dono sono stati progressivamente sostituiti da prestazioni a pagamento, in particolare per la cura dei piccoli (“il nido”) e degli anziani (“case di riposo e/o badanti”). Siamo passati dalla politica dell’autonomia (cioè del so fare da Me) a quella di demandare agli altri (cioè dei Servizi) perché non ho tempo, perdendo in autostima ed in autonomia di pensiero.
Il 25 giugno l’osservatore Romano ha pubblicato un articolo di Giovanni Gut “contro l’asfissia dell’ovvio”, a conclusione della Summer School dei giovani del Movimento Cristiano Lavoratori (Mcl): “una società a misura di famiglia? Verso la quarantasettesima settimana sociale dei cattolici italiani”, svoltasi a Milano. Viene auspicata la conciliazioni tra tempi di vita, intesa come welfare, e tempi di lavoro; un simile cambiamento è possibile solo partendo dalla famiglia naturale e dal riconoscimento della capacità della famiglia di generare il bene comune, un bene che appartiene a tutti e a ciascuno. Oggi il sistema di welfare è basato sul lavoro, non sulla famiglia, poiché si sono messe in secondo piano le scelte della famiglia rispetto alle decisioni lavorative. Ma noi auspichiamo la persona al Centro della Società moderna e non la Crescita del PIL a tutti i costi. Mi sembra di leggere quanto contenuto nella “Decrescita felice” di M.Pallante, a cui si è ispirato il Movimento 5 Stelle di B. Grillo; a volte i poli, detti opposti, si incontrano! Il legame tra famiglie è un bene comune e genera una coesione sociale che ha retto nonostante le difficoltà del tempo che viviamo.
Purtroppo, ieri la Suprema Corte Americana ha riaperto la strada ai “matrimoni arcobaleno”, banditi in California e dichiarati incostituzionali nel DOMA (Defense of Marriage Act), legge firmata da Bill Clinton, che riconosceva nella definizione di matrimonio l’unione legale tra un uomo ed una donna. In un momento in cui i dati Istat riportano nel 2012 circa 12.000 nuovi nati in meno in Italia rispetto al 2011 con un aumento dei decessi (612.883, un aumento di circa 19.000 unità), in un momento in cui il numero medio delle famiglie anagrafiche sono 25.873.000, ma con un numero medio di componenti per famiglia pari a 2,3 per nucleo, cioè crescita zero, i dibattiti sono focalizzati, invece, sul matrimonio omosessuale, sterile per definizione, e sulla legge 194, piuttosto che sulla prevenzione dell’aborto. La Cultura della Morte imperversa. Il ricorso al matrimonio da parte dei gay, solo per non sentirsi “cittadini di serie B”, sembra sia diventato il problema più importante in un mondo di reati contro la persona, che vanno dal femminicidio al suicidio quotidiano per problemi economici (ed etici).
Caro Direttore, serve un cambio di mentalità che veda i figli per quello che sono, un dono, una risorsa per la società e per il futuro di una Nazione, non un peso. E’ necessario elaborare un paradigma culturale alternativo al sistema fondato sulla ossessione della crescita e/o della decrescita illimitata, cioè ritornare alla famiglia.
Gennaro Volpe
Scienza e Vita – Casamassima.