Meraviglioso film di Giuseppe Tornatore quanto il romanzo da cui è tratto di Alessandro Baricco.
Uscito nel 1998 la storia narra di una vera e propria leggenda, quella del più grande solleticatore d’avorio dei sette mari, ambientato interamente su una nave poiché proprio qui, ha inizio la storia del nostro protagonista. Tra le vicissitudini di gente immigrata dalle nazionalità più disparate, uomini e donne con la speranza dipinta negli occhi per l’ardente desiderio di una terra di grandi sogni e speranze, ovvero l’America, ha inizio la storia del piccolo trovatello Danny Boodman T. D. Lemon Novecento, al quale venne assegnato un nome tanto insolito, quanto insolito sarà il destino che lo caratterizzerà. E fu così che, il piccolo Novecento, allevato dall’amore di un singolare e al contempo premuroso padre adottivo, crebbe nascosto dal mondo, in quella culla, grande quanto una nave, chiuso nel ventre del Virginian. In quella straordinaria città galleggiante oltre ad un padre, Novecento trovò anche una vera famiglia, poichè la sua patria era l’Oceano. Senza riuscire poi a comprenderne il perché, o il come, il piccolo Novecento aveva imparato a suonare il piano, magicamente, componendo magnifiche note che gli provenivano direttamente dal cuore. La stessa capace di estasiare un pubblico esigente veniva definita come una “musica senza nome”, che veramente pochi avrebbero avuto il privilegio di ascoltare e Novecento, facendosi cullare dalle onde, suonava danzando con l’Oceano, due ballerini pazzi e perfetti, stretti in un torbido valzer, sul dorato parquet della nave Virginian. Suonava e continuava a farlo senza fine, perché l’Oceano è grande e fa paura, ma soprattutto perché ballando si sfida la morte. Quelli che scendevano dalla nave dopo aver attraversato il lungo tragitto che dall’Europa terminava con la vista della maestosa Statua della Libertà, raccontavano di una musica strana e di un pianista che sembrava avesse quattro mani, tante erano le note che componeva. Ottantotto tasti, un numero finito, a paragone dell’infinità di melodie che potevano comporsi.
Novecento pur non avendo mai visto o conosciuto il mondo, viaggiava con la mente, fin dove il pensiero poteva accompagnarlo, leggeva nel cuore della gente, tra i segni che la gente si porta addosso, spiando con cura tra i ricordi, rubando l’anima.
Il desiderio d’amore, o semplicemente la curiosità di ascoltare la voce degli abissi, più volte gli fece balenare in testa il desiderio di abbandonare il Virginian, ma sempre, senza che rimanesse alcun dubbio nelle sue mani, Novecento rimaneva ancorato al suo piccolo mondo galleggiante, fin quando solenne, avrebbe deciso di sedersi dinanzi alla tastiera della sua vita e su quella musica ballare ciò che rimaneva dei suoi anni.
Come poter comprendere ciò che implacabile si agita nella mente di un uomo leggendario? Come poter accettare l’idea che, se la tastiera della vita prosegue oltre gli ottantotto tasti, ed è infinita, non ci sarà mai musica che si potrà suonare? E mentre si cercava di rispondere a queste domande, la fedele trasposizione del monologo di Baricco incatenava la nostra stessa felicità, come quella di Novecento, ad una tastiera che non è infinita, se non nella nostra mente.La Terra è infondo una nave troppo grande per questo Pianista, una donna troppo bella, un viaggio troppo lungo, un profumo troppo forte.
Indimenticabili emozioni accompagnate dalle colonne sonore di Morricone, raccontate in ogni particolare nell’andamento passionale del jazz, del blues e dello swing, il film parla di una storia degna di essere raccontata, del Pianista dell’Oceano, o forse di un uomo che non esiste, poiché il suo nome è un segreto.
Alessandra Lovecchio