Uno studio condotto dalla ricercatrice Ulrika Ericson, operatrice del centro sul diabete dell’università Lund di Malmö, in Svezia, ha riguardato 26930 persone, il 60 per cento donne, tra i 45 e i 74 anni, e ha portato a risultati che controvertono tutto quanto sin d’ora associato al consumo di latticini per quanto a fattori di rischio per il diabete più subdolo, quello di tipo 2.
Dai dati raccolti, considerando non solo il totale di grassi nella dieta ma anche la tipologia e la loro associazione con il rischio diabete, sono emersi dati di fatto assolutamente imprevedibili, sulla base di precedenti cognizioni in materia.
Parrebbe, infatti, che chi consuma otto o addirittura più porzioni di prodotti lattiero-caseari cosiddetti “high fat” (interi o comunque non scremati) ha un rischio più basso del 23 per cento di sviluppare il diabete di tipo 2 rispetto a chi ne consuma soltanto una porzione al giorno.
Inoltre, i risultati hanno portato a individuare un modello di “resilienza diabetica” restringendo il profilo per caratteristiche legate allaetà, sesso, biomassa, introito calorico, attività fisica, abitudine al fumo, consumo di alcol.
I risultati, probabilmente, sono sconcertanti: quel 20 per cento di persone con alti consumi (anzi altissimi poiché la porzione considerata dallo studio è di 200 grammi per latte e yogurt e si arrivava anche ad otto porzioni al giorno) anche di prodotti grassi aveva appunto un rischio minore del 23 per cento di ammalarsi di diabete 2.
Una piccola grande rivincita per gli amanti della specialità Pugliese più gettonata, la scamorza appunto, ma con una avvertenza.
Un consumo in più magari salva dal diabete, ma il colesterolo?
Come sempre, da una visuale medica più ampia emerge il detto latino “cum grano salis” ovvero, con giudizio.
Il principio universale, è insomma come sempre quello di una dieta varia nella quale però da oggi, curiosamente, le nostre scamorze (ed affini) si prendono una bella rivincita.
Roberto Loporcaro