”Per un mondo che vinca contro la guerra e la morte, per un futuro migliore ma non solo per me, dove nessuno è nemico dove nessuno è perso, dove il silenzio ci parla di pace e libertà. Io ci sto io ci metto la faccia, ci metto la testa, ci metto il mio cuore.”
Sermig – Laboratorio del Suono – Io ci sto
Questa settimana gli internauti si sono scatenati a colpi di trash stimolati dal video girato dalla signora Katia Ghirardi, direttrice della filiale bancaria Intesa Sanpaolo, che nelle ultime ore è divenuta un vero e proprio fenomeno virale
Il suo ”Io ci sto, ci metto la faccia, la testa e il mio cuore”, ancora oggi in tendenza su Youtube, avrebbe avuto fini ludici per conto di un contest interno all’azienda: qualcuno infatti, avrebbe diffuso il video sul web senza il consenso degli interessati(questa voce però, non è stata confermata).
Il video ha attirato l’attenzione del Sermig, associazione di volontariato giovanile con sede a Torino, che dal 1964 si occupa di aiutare coloro che la società considera ‘ultimi’.
In realtà le parole della signora Katia non sono frutto della sua fervida fantasia, ma del Laboratorio del Suono, la band che ha scritto e donato all’associazione il brano Io ci sto.
Ho avuto il piacere di intervistare la mia amica Silvana, volontaria del Sermig.
Cosa pensi del fatto che nel video siano finite proprio le parole del ‘Laboratorio del suono’?
Penso che sia un vero peccato perché decontestualizzate dalla canzone alla quale appartengono perdono il loro significato e diventano un motivetto irrisorio che molti si divertono a ridicolizzare.
Di cosa parla la canzone e che attinenza ha con il Sermig?
La canzone “Io ci sto” è un po’ l’inno del Sermig e vuole ricordare a ciascuno di noi che “cambiare il mondo si può”: basta partire dalla vita di ogni giorno, semplicemente mettendo la faccia, la testa ed il cuore in tutte le cose che facciamo quotidianamente. La dimostrazione di questo è proprio la storia di questa associazione.
Parlaci meglio del Sermig e della speranza che non è mai mancata a questa associazione
Il Servizio missionario giovani (spesso indicato con la sigla SERMIG, da “SERvizio MIssionario Giovani”) è un gruppo fondato a Torino il 24 maggio 1964 da Ernesto Olivero insieme ad “un pugno di giovani” con lo scopo di combattere la fame nel mondo tramite opere di giustizia, promuovere lo sviluppo e praticare la solidarietà verso i più poveri. Nato inizialmente come gruppo con l’intento di cooperare con vari missionari sparsi nel mondo, successivamente il Sermig ha iniziato ad occuparsi anche della povertà presente a Torino, allargando poi la sua opera ad altri luoghi in varie parti del mondo. La sede torinese del Sermig era il primo arsenale militare costruito in Italia che, dal 1983 grazie al lavoro volontario di migliaia di persone, soprattutto giovani, è stato trasformato in una sorta di monastero metropolitano aperto 24 ore su 24: l’Arsenale della Pace. Si tratta di un punto di incontro tra culture, religioni e schieramenti diversi per conoscersi, dialogare ed eventualmente cooperare. Fornisce inoltre ospitalità e sostegno a madri sole, carcerati, stranieri ed a persone che hanno bisogno di cure, di casa, di lavoro.
Come ne sei venuta a conoscenza e da quanto tempo presti servizio?
Ho conosciuto il Sermig nel 2014 quando un mio amico mi ha portato a fare un’esperienza estiva di volontariato all’arsenale della Pace insieme a centinaia di giovani provenienti da tutta Italia e da quel momento cerco di tornarci almeno una volta all’anno.
Quale è la parte difficile dell’essere volontari e quale è stata l’esperienza più significativa nel tuo servizio?
L’esperienza più forte che ho vissuto in questi anni è stata occuparmi delle accoglienze di extracomunitari: servirgli un pasto caldo, dargli una camera e dei vestiti, parlare con loro ed ascoltare le loro storie. La cosa più sconvolgente è che la maggior parte degli stranieri con i quali ho parlato erano ragazzi, esattamente come me, ma avevano vissuto esperienze di vita strazianti e si trovavano in Italia senza una casa, senza un lavoro, completamente soli e, se non fosse stato per il Sermig, quella notte avrebbero dormito in mezzo alla strada.
Ad oggi, quale è la situazione giovanile?
La verità è che, nonostante non faccia notizia, ci sono migliaia di giovani in Italia che ogni estate spendono parte delle loro vacanze all’Arsenale per poter dare una mano e aiutare a cambiare questo pezzo di mondo. Il Sermig, che è una struttura enorme sia dal punto di vista fisico che dal punto di vista di tutte le iniziative umanitarie che promuove e porta a termine nel mondo, si regge unicamente grazie al sostegno economico e fisico dei volontari che “mettono la faccia, la testa ed il cuore” per aiutare il prossimo. È una realtà unica che dimostra ogni giorno che fare la differenza è possibile e basta veramente poco per poter cambiare le cose.
Cosa diresti ad un tuo coetaneo per farlo avvicinare a questo progetto?
Credo che l’esperienza del Sermig vada vissuta più che raccontata perché è una di quelle esperienze che cambiano completamente il tuo modo di vedere le cose, ti da la forza di vedere che il bene c’è e ci sono tante persone che cercano di trasmetterlo agli altri ogni giorno, ti dimostra che ciascuno di noi ha il potere di cambiare le cose, a partire dalla semplicità e dalla quotidianità di ogni giorno, perché come scriveva Italo Calvino: “L’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n’è uno, è quello che è già qui, l’inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio.”
(Un ringraziamento a Silvana che ha reso possibile tutto questo)
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