Il fatto che ancora oggi in molti paesi, anche dell’occidente, i diritti degli uomini non sono i diritti delle donne, dimostra quanto sia stata e sia ancora faticosa l’uguaglianza e la pari dignità dei diritti civili fra i diversi componenti della società. La ragione di ciò è che le leggi, che dovrebbero permettere la convivenza sociale sono sempre state stabilite dal più forte, cioè da colui che nel definirle ha sempre cercato di tutelare maggiormente i propri interessi.
La discriminazione sessuale, ancora presente sotto varie forme fra i popoli nelle diverse parti del mondo, evidenzia come il rapporto uomo donna, invece di instaurarsi nella pari dignità per un fine e una realtà comune da vivere, sia sempre avvenuto in uno stato di belligeranza continua e di tregua armata.
Per comprendere come si sia giunti a tale discriminazione è bene capire il significato del termine uguaglianza, visto che gli individui non sono uguali fra di loro, né tantomeno un uomo e una donna.
Pertanto c’è da chiedersi perché e rispetto a che cosa si debbono ritenere le persone uguali fra di loro.
Superata la fase interpersonale fra uomo e donna, che nella sua evoluzione storica è stabilita dal diritto di famiglia, la società che da essi si è formata e sviluppata, diventando sempre più complessa ha avuto la necessità di rendere stabili le conquiste di convivenza fra gli individui. Per rendere ciò possibile, le esperienze positive del passato diventano punti di riferimento per la previsione del futuro.
Nelle società più semplici e primitive la suddivisione dei compiti è stabilita su basi naturali evolutisi secondo costruzioni e percorsi istintivi. Ne è un espressione il diritto familiare costruito su basi dettate per lo più dalla forza, come diritto del più forte, che deve poi adattarsi a complessità legislative via via più rielaborate, per consentire l’evoluzione sociale necessaria alla sopravvivenza dell’individuo.
L’esigenza di uguaglianza fra l’uomo e la donna inesistente come realtà di fatto, ma esistente oltre che nel fine comune da raggiungere anche nella salvaguardia dei loro rapporti e dei loro ruoli, si è trasferita lungo il corso della storia dal contesto familiare a quelle sociale, le cui problematiche ne hanno seguito lo sviluppo attraverso la definizione di regole, diventate leggi, che dovevano definire i diritti, i doveri e soprattutto i limiti di azione degli individui, affidati inizialmente in ambito familiare a regole stabilite dalle tradizioni.
La sostituzione delle donne agli uomini nelle attività civili durante i periodi di guerra, dove ancora più si accentuava la differenza fra di loro, non era sufficiente a determinare la loro emancipazione, non esistendo fino a metà del secolo scorso la possibilità di un loro impegno nelle attività produttive. Aumentando queste, la donna uscì fuori dal suo ambito e ruolo familiare per partecipare a quella attività sociale, dove la sua presenza incominciava a diventare prima possibile, per gli spazi che si rendevano disponibili e poi necessaria per il benessere che la sua attività lavorativa fuori dalle mura domestiche comportava, nella formazione e nell’uso di quei prodotti, cui anche lei partecipava in maniera diretta.
Tutto ciò ha sovvertito le regole e i ruoli, portando a quella libertà di comportamento, che iniziò a sfuggire al controllo maschile, ponendo il loro rapporto su basi diverse rispetto al passato.
Le regole, legislative e non, dovevano pertanto essere riviste ed adattate alle nuove situazioni che si venivano a creare.
Ogni nuova realtà che si deve vivere comporta una rivalutazione del principio di libertà che la può permettere. In questo caso la libertà da conquistare per le donne era quella di ottenere gli stessi diritti stabiliti per gli uomini.
Solo così si può parlare di uguaglianza sessuale che si deve trasferire in tutte le forme di uguaglianza sociale.
Il fatto che tale uguaglianza è sempre stata ed è ancora ritenuta inesistente, essendo la donna dominio dell’uomo e la sua azione sotto il suo controllo, ha determinato lotte di rivendicazione che spesso debbono ancora superare tabù ancestrali, difficili da rimuovere.
Lo sviluppo sociale è possibile quando le attività di più individui tendono a convergere nella costruzione di una nuova realtà, i cui legami diventano imprescindibili. ai fini della loro convivenza. Tale nuova realtà diviene poi necessaria ad altri individui per crearne un’altra diversa e più complessa.
Questa diramazione a raggiera, partendo dall’unità di coppia, ha permesso uno sviluppo sociale, economico e politico, che essendo di comune costituzione, dovrebbe essere di comune utilizzo. Non essendo così nasce l’ineguaglianza fra gli esseri umani.
Poiché nessuno più della donna è determinante alla costruzione del sociale, sarebbe naturale che lei per prima usufruisse di tali diritti di uguaglianza.
Ciò non è successo perché nella costituzione del sociale è venuta meno la cultura del sociale, prevalendo l’interesse interpersonale, più originario, e quindi più istintivo, rispetto all’interesse comune, più razionale e più evoluto.
In ambito sociale è l’interesse di coppia che prevale e ancor di più il rapporto su base sessuale che, qualora venisse stravolto, sovvertirebbe tutto l’ordine sociale su di esso costituito. Questo è il motivo per cui è prevalsa la società patriarcale, col maschilismo che ne ha rappresentato la degenerazione.
Inoltre l’idea che la libertà sessuale della donna rappresenti permissivismo e inversione dei ruoli, invece che affermazione di se stessa nella pari dignità sociale, nei diritti e nelle opportunità di vita, ha reso la sua rivendicazione a volta drammatica, non venendo ancora accettata dagli uomini, che continuano ad avere nei confronti delle donne un comportamento contraddittorio.
L’uguaglianza sessuale ha reso il percorso inevitabile di liberalizzazione della donna nella conferma di tutti i suoi diritti causa dello scontro più violento fra culture diverse.
Tale scontro si va radicalizzando fra i popoli occidentali, di cultura prevalentemente cristiana, in cui è avvenuta la separazione fra la religione e lo Stato e quelli in cui ciò non si è verificato.
Lo Stato deve trasformare i principi teorici della religione, assoluti, in realtà pratiche adattabili a tutti i cittadini nelle loro necessità quotidiane, che spesso non possono sostenere regole astratte e rigide, andando queste al di là delle loro possibilità e capacità comportamentali. Lo Stato tali incapacità le deve solo regolarizzare, affinché non siano di danno agli altri individui.
Negli Stati a conduzione religiosa, in cui tale separazione non è avvenuta, regole rigide si trasformano ancora oggi in atti di violenza e di prevaricazione nei confronti della donna, che ha notevoli difficoltà a partecipare e a vivere il sociale. Ciò ritarda anche lo sviluppo di quei popoli di cultura soprattutto islamica, in cui il potere sociale è mantenuto esclusivamente dagli uomini che, timorosi di perdere il loro ruolo tradizionale, oggi lo usano come intimidazione, prevaricazione e ricatto nei confronti delle donne che, prive di ogni libertà, debbono continuare a sottostare all’esclusiva volontà e disponibilità dell’uomo.
Virginio De Luca
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