E’ di queste ore la diffusione di un video amatoriale girato dalla madre dei bambini e postato dalla stessa sul proprio profilo facebook; i bambini, al rientro da scuola, hanno trovato ad attenderli sotto casa polizia, assistente sociale e psicologo che – provvedendo su ordine del locale tribunale competente – hanno sottratto gli stessi alla potestà materna destinandoli ad una casa-famiglia.
La triste storia è prosequio di una separazione con pregresse accuse da parte della moglie al marito di presunti abusi sessuali, mentre la materiale e attuale disposizione del tribunale è avvenuta su decisione del magistrato che, attraverso i consulenti d’ufficio, avrebbe riscontrato nei minori la presenza di sindrome cosiddetta PAS (in sostanza, il sotteso tentativo della madre di instradare i bambini verso l’odio della figura paterna).
Lascia ampio ambito di discussione la normativa afferente tali casi – già in passato oggetto di documentate e peraltro difficili azioni da parte dei competenti organi di polizia – che probabilmente apre uno squarcio nel corposo ordinamento Italiano in tema di famiglia e di protezione dei minori.
Senza poter di fatto entrare nel merito di questa ed altre analoghe vicende, la domanda che sorge spontanea è soltanto e sempre – posta la salute psicofisica del minore come fulcro attorno cui dovrebbe ruotare l’intero sistema – se il sottrarre forzatamente al genitore precedentemente incaricato dell’affido il minore non possa essere di per sé una scalfitura indelebile nella psiche dello stesso.
Di tale dubbio è lecita conferma il caso di Serena Cruz , una bambina di tre anni e mezzo, sottratta più di vent’anni fa a Torino a coloro che considerava padre e madre per via di una vicenda giudiziaria di adozione che non trovò nei genitori adottivi della stessa pronto riscontro alla macchinosa procedura Italiana. In una escalation di dispositivi, su ordine del tribunale competente alla bambina fu allora cambiato nome e, sempre seguendo l’iter vigente, fu affidata prima ad una casa famiglia e successivamente addirittura ad altra famiglia.
A rispondere a quello stesso tribunale della giustezza delle valutazione – e soprattutto forse delle necessità in questi casi di ascoltare primariamente la volontà della minore – è stata la stessa Serena la quale, appresa la sua storia e ormai maggiorenne, è tornata da sola a bussare alla porta di quella che considerava, visti i presupposti, la sua casa.
Ma di questo – del resto – neppure si può forse incolpare chi deve nel proprio lavoro soppesare e applicare, valutare e decidere, ascoltare e disporre, succube a sua volta di una normativa artefatta ieri come oggi a soventi dottrinali disposizioni legislative, spesso distanti anni luce dalla percezione “tattile” del reale.
E questo, del resto, tutt’oggi rimane un annoso problema spesso reso eclatante dalla cronaca proprio perchè clamorosamente esternato – nelle sue lacune – in alcuni settori “cruciali” dell’ordinamento Italiano.
Della distanza della politica – e dunque delle di questa estensioni normative – dalla percezione tattile del reale ne è riprova il pomposo e attuale filosofare della casta, colpevole per molti tal quanto la controparte populista e (demagogicamente) sovversiva.
Né pare sufficiente, innanzi a queste notizie di cronaca, l’auspicio che il destino di questi due minori sia migliore di quello dell’intera Nazione, spesso soppressa in una architettura normativa tanto nobile e articolata quanto spesso dai riscontri pratici alquanto gretti e semplicistici.
Roberto Loporcaro
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