Parigi, 1 febbraio 2014
la mia esperienza all’estero, offertami dall’Università, è ormai terminata. La possibilità di studiare per alcuni mesi in una più prestigiose università francesi, mi ha permesso di confrontarmi con un metodo di lavoro, di studio, di insegnamento del tutto nuovi; di conoscere persone che hanno seguito percorsi di vita differenti dai miei; di aprire la mente a problematiche, in ambito lavorativo e non, con cui prima era difficile scontrarmi. Torno arricchita da questa esperienza ma, improvvisamente realizzo che sto tornando in Italia: tornerò presto in un’ Università che non offre stimoli, né servizi, tornerò ad essere un semplice numero di matricola, ad imparare a memoria, a non fare ricerca, a vedere gente che si piange addosso di giorno e festeggia insensatamente di notte. Quest’anno mi sono state regalate delle occasioni grandiose: ho potuto viaggiare, conoscere luoghi, persone e civiltà. Ed è stato proprio lasciando il mio paese che ho scoperto che l’Italia non è finita, che gli Italiani sono ancora in cima al mondo, che vantano una cultura e delle competenze ineguagliabili grazie alle più antiche Università del mondo, che offrono una preparazione totale ed eclettica e che per questo non abbiamo nulla da invidiare ai “cugini europei” e che il futuro esiste per tutti. Ho capito che non bisogna fuggire ma, al massimo, ricostruire; che non esiste luogo più bello, paese più ricco (passami il termine, mi riferisco a ciò che arricchisce davvero: la cultura) di quello in cui siamo nati: l’Italia. Mi è venuta voglia di tornare ma al contempo di esplorare. Ho paura a tornare in una città che amo ma che, allo stesso tempo, mi sta stretta. Sono combattuta tra il desiderio di tornare indietro, in Italia, al Sud, e comunicare il senso di speranza che è nato in me proprio qui, all’estero, quando mi sono confrontata con altre persone straniere o del Nord Italia, ma ho paura che la mia città tradirà le mie aspettative. Ho osservato molto gli italiani qui. E ogni volta mi sono sentita come se appartenessi ad un popolo perennemente escluso e un pò sfottuto, emarginato e certamente bistrattato. E però, a lezione, durante gli esami, attraverso le parole dei miei stessi docenti (con un pò di tristezza) ho realizzato che la cultura, le doti artistiche, le competenze tecniche, la mentalità elastica, la capacità di adattamento, il buon cuore e il calore italiani sono solo vanti di cui possiamo fregiarci in tutto il mondo. Eppure siamo una generazione in fuga, un popolo esule, costretti a cercare nuovi lidi dove arenare le notre stremate speranze, agganciarle a qualcosa di solido. Siamo un popolo di Oreste ed Elettra, versione 2.0, fuggiaschi e scacciati, figli ripudiati, giovani frutti acerbi ritenuti improduttivi, fannulloni e schizzinosi. Vorremmo essere giovani Atridi che tornarno dopo anni per vendicare la madre-patria assassinata dalla sua stessa compagna: la politica. Noi italiani del millennium bug non siamo altro che risanatori di una ferita antica, oppressi da un debito precedente che non abbiamo contratto noi. Chi siamo, dunque, noi? Giovani menti assetate, voci che restano inascoltate, osservati come cavie da laboratorio dai coetanei stranieri, costretti a faticare il doppio per affermarci la metà, le aspettative perennemente deluse nel cuore. E’ soffocante non avere certezze, studiare per anni senza una meta sicuramente raggiungibile. E’ frustrante non avere stabilità, non poter costruirsi una vita autonoma, indipendente dai propri genitori. E’ umiliante non poter restare in Italia e continuare a sognare.
I miei mesi all’estero hanno costituito un’esperienza stupenda, che spero sia solo il trampolino di lancio per una vita ricca di incontri e crescita. Un’esperienza che mi ha dato tanto ma mi ha anche creato una gran confusione: adesso, che faccio? Come posso sfruttare al meglio ciò che ho imparato? Come posso permettere all’atmosfera italiana, un po’ vacua e disfattista, di non vanificare i risultati ottenuti? Ho paura di tornare ma al contempo non voglio scappare. Bisogna essere i pionieri del nuovo mondo che sorgerà da queste macerie.”
Chiara De Gennaro
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