Nel 2007 nessuno dei grandi centri di studio e analisi aveva previsto il prevedibile, paventato il plausibile, stimato il calcolabile.
Tempi moderni, dove si riesce a dimenticare notizie e nozioni chiave in favore del divo delle capsule espresse che si sposa tra le calli; Italia, land of tutto tranne che degli Italiani.
La reclama una trazione integrale di una nota casa automobilistica teutonica e finalmente, dopo anni di detto non detto, di occhiatacce sotto banco, di stilettate a questo e a quel presidente del Consiglio, la vera invidia è venuta fuori, ironia della sorte per un paese ormai quasi in (s)vendita.
Chi ha perso la guerra ha avuto finalmente la sua vendetta: e anche chi l’ha vinta.
I gioielli dell’industria Italiana, quando tali, sono stati oggetto di metodica (e intelligente, fredda, insomma pianificata) depredazione.
Nel frattempo, in un post-rottamazione che già reclama gli insuccessi dello yuppie-motivatore, i dolori del giovane bischer, insomma i falsi proclami del presunto nuovo che non solo non avanza ne fa avanzare, ma anzi ad ogni passo sembra impantanarsi e sprofondare -uomo di sabbia tra entourage di creta – in un pantano di quello che dovrebbe essere il principale partito d’Europa.
Il PD Italiano, nel frattempo, oggi trapela attraverso varie fessure più che mai diviso dalla Direzione Nazionale con a capo della “rivolta” un nome che crea sempre qualche grattacapo per un carisma che, nella sconfitta, pare oggi rinforzato: Pippo Civati.
Bella scoperta, dicono i più cinici (e sdoganati) abituè di Montecitorio.
Qualcuno già suggerisce retro manovre oscure, movimenti di fili Silvieschi, addirittura saltimbocca Renziani alla Verdini.
Pura retorica, insinuazione, depistaggio.
La verità è la fuori, sotto gli occhi di tutti.
L’insuccesso attuale non svetta rispetto ai disastri passati, ma certo non basta, dicono i nuovi venti di protesta o, semplicemente, le naturali (e affamate) correnti di Italica gioventù che non molla, non rimbambisce davanti all’eterno circo di una partita di Champions.
I tempi son maturi, i candidati forse un po’ meno, i giochi di palazzo senz’altro ben fatti.
Il teatro della politica ha masticato un rampante e oggi ci restituisce una goffa controfigura di se stesso che mangia gelati e impone antitetiche ricette che rilanciano l’Industria partendo dalla liberalizzazione di un licenziamento.
Come potenziare le vendite di un costoso brandy rendendolo analcolico.
I più cinici sobbalzano dalle sedie: andare al voto sarebbe forse un suicidio.
Non andarci, invece, pare secondo le voci di malcontento (trapelanti persino dalla Direzione del Partito Dominante), una lenta e forse peggiore agonia.
R.Loporcaro