Quanto ci hanno condizionato la vita i social network? Apparentemente una domanda banale ma di fondamentale importanza se prendiamo in considerazione il cambiamento del comportamento dell’essere umano negli ultimi anni. Pare che ogni atteggiamento abbia una diretta associazione con tutto ciò che dovrà essere pubblicato o postato. La domanda numero due sorge quasi spontanea: siamo noi a gestire le nostre azioni oppure sono proprio i social a farlo? E’ come essere entrati nel labirinto di Cnosso, con all’interno il Minotauro pronto ad attenderci oppure (rimanendo in tema di riferimenti letterari) come caduti nella grande voragine dell’Inferno dantesco. La storia, se così vogliamo definirla, è ricca di riferimenti a riguardo. Un esempio tra tanti, la notizia di qualche mese fa che ha visto protagonista una mamma straniera che, sul proprio profilo, aveva deciso di pubblicare e rendere visibili al mondo le foto del figlio gravemente malato e in punto di morte, successivamente bannata (cancellata) per l’atto compiuto.
Una notizia fra tante che spinge per l’ennesima volta la società ad una omologazione ben definibile come patetica. I social network sono strumenti eccellenti per la comunicazione ma, come sempre accade, l’uomo si è lasciato completamente sopraffare, diventandone dipendente. Non che sia una novità oppure la fine del mondo, certo. Come ogni dipendenza, essa nasconde una chiara debolezza e certamente fragilità. Arricchiamoci delle nostre reciproche differenze sembra un miraggio bello e buono. Omologazione nella moda, omologazione negli atteggiamenti. Il menù sembra essere identico nonostante sia il ristorante a cambiare: una foto del nuovo capo firmato, una frase copia e incolla (tanto per aggiornare la pagina personale), una foto ad occhi, labbra, orecchie (tutte rigorosamente staccate). E ancora, un’altra foto in ghingheri (perché farsi notare non è mai abbastanza), qualche citazione precisa utilizzata come frecciatina ad un nemico reale cui discussioni avvengono solo tramite commento e, chi più ne ha più ne metta.
Dove sono finiti i libri, i fumetti, i romanzi e le avventure fantastiche dei vecchi e nuovi scrittori? Dove sono finite le discussioni verbali, le strette di mano, le foto riservate? Dove sono finiti gli abbracci, i cuori che battono nei cuori, i sentimenti veri, i profumi, le carezze, il silenzi degli occhi negli occhi. Chiamatela pure patetica nostalgia. Io preferisco definirla reale constatazione.
Samanta Zagaria