9 maggio 1978, sono le undici. Il rapimento di Aldo Moro sembra al suo epilogo. Il mite pensatore, l’architrave di passaggi epocali per la democrazia italiana crede che in un modo o nell’altro per lui la prigionia sia al termine. Viene fatto accomodare nel bagagliaio di una Renault 4 rossa, è convinto che sta per essere liberato. Lui sarà per la Dc la mina vagante che, una volta libero, scardinerà un sistema di potere gestito con cinismo e lucida intransigenza. Ma una mitraglietta Scorpion esplode sette colpi in rapida successione uccidendo Aldo Moro, facendone un martire sull’altare dello Stato, sancendo l’inizio della fine della Dc e delle Brigate rosse.
Venticinque anni dopo, alle ore 11 del 9 maggio 2003 Eleonora Moro, la vedova dello Statista e le figlie sono a Bari a ricordare quel tragico evento. Sono state invitate ed accolte dagli amici di sempre di Aldo che per loro rimane sempre nel cuore. Nessuna commemorazione a Roma: lei è lì con chi ha sempre voluto bene ad Aldo. Mia figlia frequenta la seconda media alla Scuola Aldo Moro di Santo Spirito. Tra gli amici della dolce e forte Nora Moro c’è mio padre. Chiedo a lui che la vedova, la donna che contestò lo Stato, venga nella scuola per testimoniare; accetta con entusiasmo. Lei dopo venticinque anni, nelle stesse ore della morte del marito, è lì per ricordare. La palestra della scuola è gremita di alunni e docenti. Vi è la presenza del Preside Prof. Giuseppe Paciullo, dell’Assessore alla P.I. del Comune di Bari Doria, di mio padre Nicola Damiani. Io in qualità di Presidente di Circoscrizione presiedo e l’emozione mi travolge.
Giunge il momento dell’intervento di Nora Moro. Parla, nonostante l’età, con fermezza e lucidità. Risponde alle domande dei ragazzi affermando che non odia i carnefici del marito, anzi li ha conosciuti. Ha capito che sono anch’essi vittime di una macchinazione, forse senza saperlo, essendo molto preparati culturalmente ma meno avvezzi nell’intuire le trame che si nascondevano. Ma arriva il colpo di teatro. Racconta le ultime ore sino alla tragica e ferale notizia del ritrovamento del corpo di Moro. E’ la sera dell’8 maggio. Giunge una telefonata del Sottosegretario agli Interni del quale la signora Moro non fa nome: egli sostiene che le forze di Polizia sanno dove il Presidente è tenuto segregato e che nella notte sarebbero intervenuti per liberarlo. Una miscela di sentimenti travolge i familiari ed i presenti: angoscia, preoccupazione, speranza, certezza che tutto vada per il meglio. Del resto qualche tempo prima è stato liberato il generale Dozier, brillantemente, senza feriti e con l’arresto dei brigatisti. Ma le ore passano, il telefono non squilla, sono le sette del 9 maggio. Nora Moro chiama il Sottosegretario non senza difficoltà. Il politico risponde che si è deciso di soprassedere al blitz perché sarebbe stato troppo pericoloso per il Presidente. Il resto è storia.
Ricordiamo che il Presidente del Consiglio (che non poteva non sapere) era Giulio Andreotti, il Ministro degli Interni era Cossiga e anch’egli non poteva non sapere, visto che il suo Sottosegretario aveva avvertito la famiglia Moro il giorno prima.
Ed ora dopo trentacinque anni il giudice Imposimato dichiara a “Porta a Porta” che il covo era sorvegliato dai Sevizi segreti italiani, inglesi e tedeschi da tempo, confermando che si conosceva dove fosse tenuto prigioniero Aldo Moro.
Rimane il dubbio, o addirittura la certezza, che Aldo Moro fu sacrificato sull’altare della politica cinica. Moro, una volta libero, poteva destabilizzare il potere di trent’anni, svelare segreti inconfessabili. Cossiga ed Andreotti sono morti e i segreti sono con loro, sepolti. Una democrazia che cerca di rinnovarsi a fatica, che procede a tentativi, deve togliere il velo da un altro mistero che angoscia il cittadino. Non aver paura di testimoniare come è successo per Nora Moro e per la vedova Borsellino recentemente scomparsa.
La memoria di questi martiri deve risiedere nella pace, essere guida per le future generazioni. Ma essa può sopravvivere solo se sarà preservata senza macchia e senza ombre.
Leonardo Damiani