Ieri sono andato in un centro commerciale a fare shopping, all’uscita incontro un amico facciamo due chiacchiere, qualche riflessione e qualche risata, si fa l’ora di ritornare a casa, mi avvio al parcheggio, ma non vedo la macchina. Ho dovuto girare un po’ per ritrovarla. Dopo dieci minuti la ritrovo, la cercavo, nel posto abituale invece era da tutt’altra parte.
Quante volte vi è capitato di non trovare ciò che siete sicuri di aver conservato nel solito posto?
Quando perdiamo qualcosa, subito riavvolgiamo il nastro dei ricordi, e ripensiamo a tutte le azioni che abbiamo fatto fino a quel momento, fateci caso se già non lo avete notato; spesso le nostre azioni sono abituali, compiamo sistematicamente e meccanicamente, ogni giorno le stesse azioni, ci creiamo dei percorsi e di volta in volta li seguiamo.
Nell’analizzare una situazione che richiede una decisione, il cervello attinge dal suo archivio di esperienze costituito da ricordi, sensazioni, emozioni; utili per poter estrapolare il maggior numero di informazioni e poter compiere una scelta. Ma sebbene questo modo di ragionare è utile in tantissime situazioni, risulta conservativo, non aiuta a sperimentare nuove strade che accrescono l’esperienza, e di conseguenza le informazioni.
Le scelte sono frutto sempre, del solito percorso, che conosciamo, comprendiamo che non ci soddisfa ma ormai siamo abituati e lo riusciamo ad accettare: è meglio calpestare il medesimo sentiero anche se pieno di buche e tortuoso che intraprenderne uno nuovo, che richiede un maggiore sforzo.
Da troppo tempo, ci ritroviamo tutti a girare dentro lo stesso recinto, la soglia di capacità critica individuale si è notevolmente abbassata, e consciamente o inconsciamente assorbiamo un pensiero strisciante, subdolo e persuasivo, quello che in due parole si chiama, pensiero unico, che è un’espressione utilizzata per descrivere l’egemonia culturale del neoliberismo, il termine è stato coniato nel 1995 da Ignacio Ramonet direttore responsabile di “Le Monde Diplomatique”.
Quali sono le altre strade e come affrancarci dal pensiero unico con uno multiplo, espressione di tante voci quanto sono gli esseri umani, e come sconfessare chi dice non c’è alternativa?
Cresce, nelle attuali democrazie, il numero dei cittadini liberi che si sentono impelagati, da una specie di dottrina che insensibilmente aggroviglia qualsiasi ragionamento ribelle, lo inibisce, lo confonde, lo paralizza fino a soffocarlo: il pensiero unico, il solo autorizzato da un’invisibile e onnipresente polizia dell’opinione.
Dopo la caduta del muro di Berlino, il crollo dei regimi comunisti e la demoralizzazione del socialismo, il nuovo “Vangelo” ha raggiunto un tale grado di arroganza, di ostentazione e di insolenza che di fronte a un simile furore ideologico non è esagerato parlare di dogmatismo moderno.
Che cos’è il pensiero unico? E’ la trasposizione in termini ideologici, che si pretendono universali, degli interessi di un insieme di forze economiche, e specificamente di quelle del capitale internazionale; ed è stato, per così dire, formulato e definito fin dal 1944 in occasione degli accordi di Bretton Woods.
Le sue principali fonti sono le grandi istituzioni economiche e monetarie la Banca mondiale, il Fondo monetario internazionale, l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, l’Accordo generale sulle tariffe doganali e sul commercio, la Commissione europea, le banche centrali ecc. che attraverso i loro finanziamenti arruolano al servizio delle loro idee, sull’intero pianeta, numerosi centri di ricerca, università e fondazioni, chiamate ad affinare e a diffondere la buona parola.
Questo discorso anonimo viene ripreso e riprodotto dai principali organi di informazione economica e in particolare dalle bibbie degli investitori e degli agenti di borsa The Wall Street Journal, Financial Times, The Economist, Far Eastern Economic Review, les Echos, l’Agenzia Reuter ecc. in buona parte di proprietà dei grandi gruppi industriali e finanziari. E infine, un po’ dovunque, docenti di economia, giornalisti, saggisti, uomini politici si richiamano ai principali comandamenti di queste nuove tavole della legge, e attraverso i grandi mezzi di comunicazione di massa li ripetono a sazietà, ben sapendo che nelle nostre società mediatizzate la ripetizione equivale alla dimostrazione.
Il fondamento del pensiero unico è il concetto del primato dell’economia sulla politica, tanto più forte in quanto un marxista distratto non lo contesterebbe. E’ in base a questo principio, ad esempio, che nel 1994 si è potuto procedere senza alcuna opposizione di rilievo a rendere indipendente uno strumento importantissimo nelle mani dell’esecutivo quale la Banca di Francia, che è stata così posta, come si è detto, al riparo dalle vicende aleatorie della politica. La Banca di Francia è indipendente, apolitica e al disopra delle parti, afferma infatti il suo governatore, Jean-Claude Trichet, il quale tuttavia aggiunge: Noi chiediamo la riduzione del deficit pubblico (e) perseguiamo una strategia di stabilità monetaria (Le Monde, 17 dicembre 1994). Come se questi due obiettivi non fossero politici!
All’economia si riserva il posto di comando in nome di un realismo e di un pragmatismo di cui Alain Minc ha dato la seguente formulazione: Il capitalismo non può crollare, è lo stato naturale della società. La democrazia non è lo stato naturale della società. Il mercato lo è. (Cambio 16, Madrid, 5 dicembre 1994) Un’economia ovviamente sbarazzata dall’ostacolo del sociale, considerato come una sorta di patetica ganga la cui pesantezza sarebbe causa di regresso e di crisi.
Gli altri concetti chiave del pensiero unico sono ben noti. Il mercato, idolo la cui mano invisibile corregge le asperità e le disfunzioni del capitalismo, e in particolare i mercati finanziari i cui segnali orientano e determinano il movimento generale dell’economia; la concorrenza e la competitività che stimolano e dinamizzano le imprese, conducendole a una permanente e benefica modernizzazione; il libero scambio illimitato, fattore di sviluppo ininterrotto del commercio e quindi delle società; la mondializzazione sia della produzione manifatturiera che dei flussi finanziari; la divisione internazionale del lavoro che modera le rivendicazioni sindacali e abbassa il costo del lavoro; la moneta forte, fattore di stabilità, la deregulation, la privatizzazione, la liberalizzazione, ecc. Sempre meno Stato, un arbitrato costante in favore dei redditi da capitale e a scapito di quelli da lavoro. E l’indifferenza nei riguardi dei costi ecologici.
La ripetizione incessante di questo catechismo attraverso tutti i media (Testimonianza esemplare di questo pensiero dominante: La France de l’an 2000, rapport au premier ministre, Edizioni Odile Jacob, Parigi 1994.) e da parte di quasi tutti gli uomini politici di destra e di sinistra (E’ ben nota la celebre risposta di Dominique Strauss-Kahn, ministro socialista dell’industria alla domanda: Cosa cambierebbe se vincesse la destra? Nulla. La sua politica economica non differirebbe molto dalla nostra. The Wall Street Journal Europe, 18 marzo 1993) gli conferisce una tale forza di intimidazione da soffocare qualsiasi tentativo di riflessione libera, e rende assai difficile la resistenza contro questo nuovo oscurantismo (Sarà per questo che vari intellettuali, tra cui Guy Debord, hanno preferito il suicidio?).
Si è quasi portati a pensare che i 17,4 milioni di disoccupati europei, il disastro urbano, la precarizzazione generale, la corruzione, la tensione nelle periferie delle città, il saccheggio ecologico, il ritorno dei razzismi, degli integralismi e degli estremismi religiosi, la marea degli esclusi non siano altro che miraggi, colpevoli allucinazioni in grave discordanza con questo migliore dei mondi, edificato dal pensiero unico per le nostre coscienze anestetizzate.
Massimo Pellicani