Uscito subito dopo Natale nelle sale cinematografiche italiane, Moschettieri del Re – La penultima missione è l’ultima fatica del regista e sceneggiatore toscano Giovanni Veronesi, già noto al grande pubblico per pellicole come Manuale d’Amore e Non è un Paese per giovani. Preceduto e sostenuto da un intenso battage pubblicitario, ed impreziosito da un cast straordinario, il film propone, in chiave grottesco-parodistica, una nuova avventura dei celebri personaggi figli della penna di Alexandre Dumas (padre).
Dopo molti anni, D’Artagnan (Pierfrancesco Favino), Athos (Rocco Papaleo), Aramis (Sergio Rubini) e Porthos (Valerio Mastandrea), sono richiamati all’azione direttamente dalla Regina di Francia Anna (Margherita Buy), per salvare il Paese dalle mefistofeliche cospirazioni del Cardinale Mazzarino (Alessandro Haber). A completare il cast, Giulia Bevilacqua, nei panni di Milady, una cortigiana complice di Mazzarino, Matilde Gioli, nelle vesti della maliziosa ancella della regina, e Lele Vannoli, servo muto e fedele, praticamente insensibile al dolore.
Sia pure imbolsiti dalla lunga inattività, dalla senescenza, dal libertinaggio e dai vizi, ma arricchiti dalla saggezza cinica della piena maturità, i nostri si lanceranno in nuove avventure con rinnovato vigore. La vocazione grottesca della pellicola si rivela sin dalla caratterizzazione dei protagonisti, ciascuno dei quali parla con la cadenza dialettale del proprio interprete, con l’eccezione di Faviano che si esprime in uno strano franco-dialetto sgrammaticato, nonché nell’ambientazione della vicenda che, sebbene formalmente si svolga nella Francia del XVII secolo, si snoda nei riconoscibili, ma pur sempre bellissimi e suggestivi, paesaggi e luoghi della Basilicata, dove il film è stato interamente girato.
La la fantasia di un bambino che legge quest’avventura, proiettandola nei luoghi familiari e sostituendo ai personaggi i membri della propria famiglia, costituisce l’espediente narrativo che giustifica tutto ciò, e che viene svelato alla fine della pellicola.
Il valore indiscutibile dei protagonisti, ben affiatati e motivati, e di tutti gli altri interpreti, e la suggestione del paesaggio, non sono però elementi sufficienti a reggere tutto il peso di una sceneggiatura piatta e priva di ritmo e di una regia senza pretese. Il tentativo di cimentarsi in tutte le accezioni dell’arte comica, dal grottesco al buffo, dal calembour al tormentone, sino alla satira politica e religiosa, come pure qualche pretestuosa irruzione nei domini della filosofia, lasciano il tempo che trovano in un’opera che, sebbene sembri ispirata ad un capolavoro epico grottesco qual’è senza dubbio l’Armata Brancaleone di Monicelli, non riesce nemmeno a lambirne il respiro.
Non dubitiamo, però, che questo lavoro incontrerà la benevolenza del botteghino, per quanto, per il cinefilo appena più alletterato, esso si riveli per quello che in fondo è: una promessa mancata.