La Gazzetta del Mezzogiorno in questi giorni è intervenuta per parlare della scarsità di posti letto al Di Venere. La Chirurgia generale che ospita nelle stanze di sei letti otto persone su barelle, l’Ostetricia sempre piena di pazienti in cui si ricovera nei letti della terapia intensiva e blocco parto, dove si abbandonano le pazienti. Può essere forse la denuncia di qualche parente non ammesso in sala travaglio, perchè appunto vi sono donne in procinto di partorire. Analisi superficiali, che sistematicamente non mettono in evidenza un semplice dato di fatto: la riduzione dei posti letto messa in atto dalla Regione. Nel primo caso si è provveduto a chiudere un intero reparto, quello di Chirurgia d’Urgenza con trenta letti in meno, nel caso di Ostetricia trenta in meno. Posso dire che lavorando in quest’ultimo reparto sono informato dei fatti. Circa cinque anni fa si decise di ristrutturare il reparto onde migliorare l’offerta alberghiera: prima il sesto piano con trenta posti di Ostetricia (dedicato alle nascite) in seguito il settimo per la Ginecologia ( ciò che riguarda le malattie dell’apparato genitale con venticinque posti letto). Si elimina il Centro per la procreazione assistita pubblico e gratuito e lì ci sistemiamo tra mille difficoltà. In quel momento, si disse provvisoriamente, rinunciavamo ad un servizio per la terapia delle sterilità che aveva procurato circa un migliaio di gravidanze. Sempre temporaneamente si rinunciava alle stanze per le madri nutrici di bambini prematuri ospitate solo con servizio alberghiero che provenivano grazie alla UTIN (terapia intensiva neonatale) da tutta la Regione e non solo ma anche da tutto il Sud. A proposito la Basilicata e la BAT non hanno UTIN. Inoltre esisteva un servizio di Chirurgia neonatale che garantiva rapide terapie chirurgiche a bambini con gravi patologie bisognosi di cure urgenti, pena la loro sopravvivenza. Ebbene dopo quattro anni di lavori ad agosto del 2011 ci viene consegnato il reparto ristrutturato. Mancano le supellettili, la sala Parto non ha il lettino nuovo, nè la lampada per illuminare il campo chirurgico, la sala operatoria esiste, senza attrezzature e chissà quando aprirà. Esiste la vasca da bagno per partorire ma da quella parte si sentono effluvi maleodoranti di liquami.
Ma le sorprese non finiscono: il settimo piano dedicato alla Ginecologia non ci tocca più quindi meno trenta posti, gli ambienti per la cura della sterilità non sono più previsti. C’è chi dice che la Regione debba finanziare un centro privato… La Chirurgia neonatale non serve perchè la deve fare il Policlinico. Le madri nutrici che generano bimbi prematuri non hanno più stanze per loro e per giorni occupano inutilmente i letti per acuti, sottraendoli ad altre provenienti da lontano nelle stesse condizioni cioè con gravidanze ad alto rischio.
Di sprechi come le pareti impregnate di acqua del nido dopo due mesi dalla consegna o le finestre che rendono gli ambienti caldi d’Estate o gelidi d’Inverno ne dobbiamo parlare o del riscaldamento fatto con pompa di calore che dire? Quali sono i costi per climatizzare un reparto di tali dimensioni? Chi riscalderebbe casa propria con l’elettricità? Qual’è la bolletta elettrica?
Aspettiamo ancora per l’inaugurazione Vendola ed Emiliano responsabile primo della salute dei cittadini baresi. Sono sei mesi e non si sono visti.
Ma loro sanno? E la stampa: seduti davanti a comode scrivanie, “valorosi” giornalisti, attenti a non consumare le suole delle scarpe, sbattono il Di Venere in prima pagina, creando nei lettori malanimo verso personale ridotto, sfruttato e mal pagato. Non si sa che la maggioranza di loro sono donne che hanno quarant’anni di servizio usurante costrette a lavorare sino ai sessant’anni essendo entrate a diciott’anni o anche prima. Oggi hanno letto l’articolo e sul viso di qualcuna di loro lacrime di rabbia hanno solcato rughe determinate da notti insonni. Se a loro chiedi se hanno mai visto una discoteca a vent’anni sorridono e scuotono la testa in senso di diniego, tanto meno non sanno il significato della parola movida.. Sono nonne adesso ed aspettano con ansia di allevare i loro nipoti. E soprattutto considerano l’ospedale come la loro prima casa.
Ancora una volta i Panzer dell’informazione passano sui sentimenti e favoriscono la disinformazione.
dott. Leonardo Damiani