È uscito nelle sale italiane il 28 febbraio, l’adattamento cinematografico di Gabriele Salvatores al romanzo omonimo di Nicolai Lilin. Ambientato nella Moldavia orientale al di qua del fiume Nistro, il cosiddetto “fiume basso” nella comunità dei peggiori criminali dell’est: una comunità fatta di regole e codici d’onore, motti di saggezza che animano la microsocietà siberiana. Due giovani, Kolima interpretato da Arnas Fedaravicius e Gagarin da Vilius Tumalavicius sono educati alla legge dei criminali siberiani da nonno Kuzya, un immenso John Malkovich. I siberiani sono umani e rispettosi nei confronti delle donne, dei più deboli e dei malati “ voluti da Dio”, giusti e mai avidi di ricchezze, ma sanguinari con la polizia, contro ogni sistema di ingiustizia e sopruso, rubano per condividere le ricchezze con la comunità. In uno scenario di degrado crescono i due giovani ragazzi, amici per la pelle educati alla lotta e al coraggio; dopo un incidente Gagarin viene incerato e dopo sette anni ritorna alla comunità completamente diverso: sembra aver dimenticato gli insegnamenti ricevuti dal nonno Kuzya. Gagarin è diventato un ragazzo violento, freddo e desideroso di fare ricchezze, ad ogni costo. “Folle volere troppo… Un uomo non può possedere più di quello che il suo cuore può amare”, è uno degli insegnamenti del “criminale onesto” dispensati dal saggio Kuzya. Sono i consigli che temprano i due giovani durante l’adolescenza. Kolima percepisce il cambiamento di Gagarin, da cui prende le distanze fino alla rottura dei dei due amici in conseguenza all’avvicinamento di Gagarin a un clan dedito a giri di droga e prostituzione: crimini vietati per i siberiani. Intanto a “fiume basso” è arrivata Xenja la figlia del medico, una bella ragazza affetta da demenza ma che con la sua dolcezza e semplicità conquista segretamente il cuore di Kolima, il quale non rivelerà mai il suo amore se non attraverso i suoi tatuaggi. I tatuaggi per la comunità dei siberiani rappresentano la storia impressa sulla pelle che differenzia la vita degli uomini, che altrimenti vivrebbero esistenze monotone e tutte uguali. Kolima, finito in carcere, affina in galera la tecnica dei tatuaggi, uscirà grazie al nonno e spinto dalla sete di vendetta per lo stupro e la violenza di Xenjia. Il regista milanese, crea un buon adattamento al romanzo di Lilin , se non fosse che le emozioni scorrono come didascalie, anche la ricerca e l’esecuzione del colpevole della violenza di Xenja si risolve priva di parossismi con risoluta freddezza, come il clima siberiano che miete vittime, complice l’orgoglio venduto, unica redenzione: la morte. Si realizza il monito profetico di nonno Kuzya che con la metafora del lupo uscito dal branco e spogliatosi della gerarchia e dei ruoli non ha più identità, per cui “la fame viene e scompare, ma la dignità, una volta persa, non torna mai più”. Il regista milanese ci prova ancora con un adattamento che se per alcuni tratti riesce, per altri mostra un’eccessiva freddezza e sinteticità: quando le esistenze, come quelle dei due giovani, passano inosservate in una terra dimenticata dove ci sono “onesti criminali”.
Giusy Raco