Il Fatto Quotidiano, ieri, ha pubblicato un articolo, sul suo portale web, a firma di Davide D’Antoni dal titolo “Giornalisti, lo scandalo dei corsi di formazione obbligatori“. Solo la lettura del titolo è stata per me come sradicare violentemente un nervo scoperto. E’ proprio così!
L’Ordine dei Giornalisti ha deciso di applicare una legge vecchia di 50 anni ad un contesto sociale, tecnologico e professionale odierno inimmaginabile nel lontanissimo 1963. Una legge dunque datata e anacronistica!
Più volte abbiamo protestato contro l’assurda decisione di “sfoltire” l’Albo dei Giornalisti Pubblicisti con decisioni opinabili e, lasciatemelo passare, poco intelligenti che assomigliano più ad una mannaia sulla testa di tanti professionisti seri, nella maggior parte giovani molto preparati, che ad un obiettivo di riorganizzazione di cui nessuno comprende né capo né coda.
I Consiglieri dell’Ordine si sono trincerati più volte dietro un miserrimo “Siamo troppi… solo in Puglia oltre 5000!”. E che significa? Di chi sono le responsabilità? Dell’Ordine stesso ovviamente e dei Consigli che hanno preceduto quelli attuali quando con fin troppa facilità ci si poteva iscrivere, senza neanche scrivere un articolo. Bastava farseli prestare. Nessuno controllava nulla, l’importante era versare la quota annuale prevista per l’ottenimento del bollino da attaccare al tesserino.
Se tanto si vuole sfoltire l’Albo perché non si radiano d’Ufficio quelli che da anni non versano il contributo annuale o che da anni non scrivono o non hanno mai scritto un articolo? Perché si continua a far iscrivere con estrema facilità nuovi pubblicisti, quando basterebbe introdurre anche per loro un Esame di Stato serio?
Oggi viene chiesto ai poveri giornalisti già iscritti di esibire le ricevute di pagamento di prestazioni professionali e con effetto retroattivo alla richiesta, pena la radiazione dall’Ordine. Questo provvedimento non va a colpire gli editori disonesti che troppo spesso non pagano o pagano una miseria, ma va a prendersela con i più deboli, quelli che non riescono a trovare un lavoro o, ancor peggio, quelli che pur lavorando non vengono retribuiti affatto. Si dice a Bari: “Crnut e mazziat”!
In merito all’articolo del collega D’Antoni, scopriamo che dietro l’obbligo della formazione (sncito da una legge dello Stato, il DPR 137/2012) si potrebbe celare un possibile business da parte di chi andrebbe a organizzare i corsi. Citiamo testualmente l’articolo” i pochissimi corsi gratuiti infatti sono (giustamente) tutti esauriti e non resta, per poter assolvere l’obbligo di legge, che iscriversi a quelli a pagamento, pena la cancellazione dall’albo professionale. E’ gratuita solo la formazione deontologica, che prevede 1/4 dei crediti totali richiesti nel triennio. Fatta la legge, ecco l’affare: i 3/4 dei crediti infatti sono quasi tutti a pagamento“. Veniamo a scoprire grazie al Fatto Quotidiano che in Lombardia i corsi di formazione “vengono affidati a enti privati, come l’Università Cattolica o il Consorzio Iulm-Mediaset”, con costi assolutamente proibitivi: 671 Euro a partecipante!
E’ legittimo pensare dunque che dietro l’obbligo di formazione ci sia qualcuno che si appresta ad arricchirsi e anche tanto? E’ possibile che si permetta questo?
Venendo al caso personale, io svolgo la professione di giornalista da oltre 50 anni. Alla veneranda età di 72 anni e con tutti i limiti che l’eta m’impone, dovrei andare, come uno scolaretto, a seguire un corso di formazione, su argomenti affidati al momento alla creatività e alle conoscenze personali di improbabili formatori. Non c’è infatti un programma unico di aggiornamento in tutta Italia, ma semplici corsi con contenuti diversi organizzati un po’ qua e un po’ là. Detto in altre parole, in Lombardia i colleghi saranno “formati” su un argomento X, in Puglia su un argomento Y. L’importante, secondo l’Ordine è che i giornalisti raccolgano i punti previsti. Come si dice dalle nostre parti, “in una cosa una cosa” ti sei aggiornato, l’importante è che hai pagato!
A cosa serve dunque l’Ordine dei Giornalisti? Pur sapendo che non è un’organizzazione sindacale, a mio giudizio dovrebbe comunque schierarsi a difesa della professione e dei professionisti, comprendendone le difficoltà e le urgenze. Tutto il resto risuona come una difesa corporativistica di pochi fortunati “eletti”, timorosi di perdere status e benefits accumultati durante gli anni di vacche grasse. E’ bene che lor signori sappiano che il Paese di Bengodi è finito e che tutti ci dobbiamo rimboccare le maniche per assicurare, soprattutto ai più giovani, un futuro professionale migliore.
Se così non fosse e stando così le cose, sarebbe auspicabile la cancellazione dell’Ordine dei Giornalisti, tanto continueremo a fare quello che abbiamo sempre fatto: nessuno può vietarci, infatti, il diritto di esprimere pensieri e opinioni che è bene ricordare, è un Diritto sancito dalla nostra nobile Costituzione.
Lucio Marengo