Nel libro “Né con Marx né contro Marx” Norberto Bobbio (filosofo, giurista e scrittore politico) attraverso il curatore Carlo Violi dispensa alcune perle che oggi in particolare appare opportuno rispolverare per inquadrare questa festa del lavoro.
Tra le altre, in un dialogo tra Bobbio e l’economista Paolo Sylos Labini, vengono fuori due interessanti interrogativi da parte di Bobbio celanti una già non retorica posizione in merito:
il primo pone a Labini il quesito, in tempi già non sospetti, se non sia da tenere da conto il primato del potere economico su quello politico.
Il secondo, sempre in tempi non sospetti, è se in tale prospettiva e lettura dei fatti quotidiani, non fosse il caso di chiedersi se non si sia dato così l’avvio ad una società della “mercificazione”.
La risposta di Labini volge sostanzialmente ad un accordo di visione con Bobbio, pur evidenziando come l’avversione estrema del sistema Marxista alle economie libere fosse presupposto di prima efficacia atto ad alimentare una controforza paradossalmente contraria, prima di tutto, alla diffusione dello stesso sistema Marxista.
Con la caduta del “sistema sovietico” e le mutate condizioni globali di diffusione del “Marxismo puro” , tale sistema appare oggi praticamente relegato alla sola Corea del Nord e, in misura assai rivisitata, in pochi stati come la stessa Cina (leone del commercio globale) oltre al Venezuela del defunto Chavez (dalle curiose e frequenti – ancorchè a detta di molti sospette – repentine nazionalizzazioni) ed infine al sempre caro popolo Cubano, quest’ultimo ancora piangente (seppur nella tragica allegoria delle lacrime amare celate dietro larghi sorrisi) per aver forse concesso ai propri Leader di azzardare un po’ troppo al cospetto del gigante che ha fatto della libera economia e mercato istituzione guida addirittura nei propri principi di fondazione e costituzionali.
Appare inoltre paradosso il fatto che la festività il primo Maggio nasca come espressione dei lavoratori oppressi proprio nella Nazione che invece – successivamente e grazie a questi martiri – ha incluso nei propri principi sociali la tutela del lavoratore, anche se pur sempre in second’ordine rispetto a quelli tradizionali – per il contesto – di tutela dell’imprenditorialità e del libero mercato.
Del resto, l’America è la regina del “turnover” (ricambio del personale) ed è uno dei pochi paesi al mondo nel quale il lavoro si trova – salvo rari periodi centellinati nella storia – a velocità se non superiore almeno pari a quella con il quale lo si possa perdere.
Ma, lasciando gli Stati Uniti e tornando in Italia, oggi questa festa appare – al di là dell’ormai ultraventennale e sempre caratteristico “concertone” – di particolare eloquenza e richiamo d’attenzione.
In questo contesto globale, le considerazioni di Bobbio e Labini vengono in aiuto per la comprensione dei nuovi significati e prospettive dei contesti lavorativi nonché dello stesso concetto/principio del lavoro; qui in Italia, oggi in particolare, il lavoro come importante pilastro sociale appare sfaldato e indebolito dal nuovo contesto globale ma forse in primis proprio da una decotta classe politica che ne ha ignorato per troppo tempo l’importanza come fondamentale sostegno sociale, ancorchè posto in prima fila addirittura nel testo Costituzionale.
In un periodo di crisi economica dove le esportazioni sono state pesantemente azzoppate da una politica fiscale dal pressing assolutamente insostenibile nonché alla luce di intervenute normative in tema di lavoro “temporaneo”, assieme a grossa parte della industria piccola e media è andata via via scomparendo la mentalità del “posto fisso” che rimane comunque in qualche caso ancora viva – anche se non formalmente – in tema di lavoro pubblico.
Ma del resto, nell’ambito di una Nazione, la necessità del pubblico impiego nasce dal presupposto di una fornitura di servizi al cittadino, il quale a sua volta – in teorica assai grande superiorità numerica rispetto al pubblico dipendente – attinge dal di questi lavoro per il soddisfacimento di bisogni correlati a quell’insieme di funzioni che per legge sono delegate alla funzione pubblica.
Venendo a lesionare il presupposto del sistema economico privato e dunque i correlati gettiti per il reddito da esso scaturente, anche il pubblico impiego inizia a doversi preoccupare di quel principio di almeno formale “inviolabilità”.
In questo contesto, vari governi dal 2008 hanno prima sottovalutato i problemi e poi sopravvalutato alcune soluzioni (come la iper tassazione), dando l’impressione di aver dimenticato un po’ tutti il principio che il lavoro non po’ essere considerato alla stregua di una merce da tassare per il semplice motivo che il lavoro è presupposto sociale di creazione e partecipazione attiva di produzione di ricchezza in un contesto nazionale e, magari, internazionale.
Inoltre, varrà appena il caso di ricordare che in questo contesto globale, “non di sola industria” vive l’uomo anzi, proprio in Italia, lasciare a sè stanti settori come l’agricoltura, il turismo e la correlata fruizione di beni culturali è riprovevole e tangibile segno di inadeguatezza al ruolo politico
Questo primo Maggio, dunque, a detta di molti deve essere di particolare spunto e riflessione per il nuovo Governo, chiamato a decidere – attraverso una concertazione normativa che appare ovvia alla luce delle larghe intese poste a fondamenta della nascita dello stesso – circa soluzioni adeguate ed urgenti per agevolare il rientro in careggiata del lavoro come fulcro e cardine della stessa Unità Nazionale (in quanto Costituzionalmente statuito).
In questo contesto – populistiche esortazioni che ruotano invece intorno alla restituzione di pochi spiccioli di IMU – appaiono piuttosto volontà di certuni di rimescolare il brodo ovvero di passare una delle tante “patate bollenti” ai detentori di una smagrita maggioranza, onde magari invocare il voto e riproporsi alle elezioni come incolpevoli portatori di un handicap di risultato, pronti a promettere succulenti polli ruspanti senza aver una benché minima idea della necessità di dover costruire prima il pollaio.
Starà all’intelligenza degli Italiani, e segnatamente in particolare dei tanti giovani che oggi non possiedono un lavoro, far sì che quella di quest’anno sia invece particolarissima festa dello stesso che lasci il segno in memoria, che ricordi sempre che il contesto in cui il lavoro nasce e prospera è prima di tutto quello di indirizzo politico di Governo, di volontà di crearlo, questo lavoro.
Un Governo o anche solo una parte di esso inconcludente o peggio fannullone in ambito di pubblico interesse, corrotto, distratto, distante, populista, avvinghiato ai propri privilegi e largo di manica a rimborsi di tasse e gabelle senza voler valutare i milioni di inoccupati le cui mancate tasse non potranno mai ripianare tale impegno economico ovvero lo straripante debito nazionale, appare cieco avversario da combattere democraticamente attraverso l’appoggio magari anche non di singoli partiti, magari indirizzandosi al carisma del “singolo” politico ed alla sua propensione storica – per primo – ad essere “lavoratore duro” nel cercare e trovare soluzioni, indipendentemente dalla bandiera di appartenenza.
Perché, si ricorda, solo lavorando duro si può pensare di creare lavoro.
Solo lavorando duro si potrà, magari già l’anno prossimo, celebrare questa festa non come semplice prolungamento di astensione da un lavoro che per moltissimi – troppi – non c’è, ma nella sua primaria ed effettiva spiritualità fondante, essa stessa pietra d’angolo nella costruzione storica della nostra Nazione.
Roberto Loporcaro