Nata nel 1997, la band dei Radiodervish, composta da Michele Lobaccaro, Alessandro Pipino e dal cantante palestinese Nabil Salameh, si è ritagliata uno spazio del tutto originale nel panorama del cantautorato mediterraneo.
In esclusiva per Made in Italy Notizie, Nabil Salameh, la voce del gruppo, ci parla di Human, l’ultimo album, presentato l’8 marzo scorso presso la Feltrinelli di Bari (qui l’articolo della presentazione: http://www.radiomadeinitaly.it/notizie/?p=38675).
Quale ruolo dovrebbe ricoprire il linguaggio universale della musica nell’unire popoli e culture diverse?
Innanzitutto, si tratta di un momento di riflessione intima che viene condivisa. L’artista condivide questo momento di creazione, che serve a dare origine ad uno spazio aperto per chi vorrebbe visitarlo, per chi vorrebbe partecipare a questa condivisione. E giacchè si parla di condivisione, si parla automaticamente di uno spazio dove si dialoga, ci si confronta senza pregiudizi nè preconcetti. La musica è un linguaggio pre-razionale che nasce su un altro piano, che va a toccare dei livelli già liberi da qualsiasi condizionamento, quindi se questo momento di riflessione dell’artista, di chi crea, serve a produrre questo momento di collettività, ben venga. Credo che sia proprio questa la magia della musica, il suo ruolo, per non essere investita da una dimensione egoistica. La musica è umanità prima di tutto.
Nel brano Lontano cantate “e io vorrei vivere davvero”. Cosa significa oggi, vista l’estrema precarietà della nostra società, “vivere davvero”?
“Vivere davvero” vuol dire vivere una dimensione autentica della propria vita, cercare delle risposte diverse da quelle che la società ci preconfeziona e ci offre in questi tempi in cui c’è carenza di modelli. C’è carenza, inoltre, di un immaginario ideale di umanità, che è sempre servito ai popoli, nei momenti di crisi, a riaccendere la propria fantasia, l’immaginazione e quindi la creatività, producendo emancipazione e miglioramento della propria condizione. “Vivere davvero” lo diciamo in questa epoca difficile dove la precarietà è un’ordinarietà che ritroviamo spesso e volentieri sia nel lavoro che nella vita in generale. “Vivere davvero” è un auspicio a riacquistare quella dimensione umana che spesso viene messa a repentaglio nei vari Paesi del mondo, da cui giungono notizie davvero brutte ma anche, per non andare lontano, dalla nostra Italia dove all’ordine del giorno sentiamo notizie di omicidi e di violenze. La canzone Lontano è un auspicio che nasce da un momento di riflessione intima e che racconta di un’esperienza di perdita nella vita; perciò è un invito, una sfida lanciata a se stessi e a chi ascolta.
Com’è possibile al giorno d’oggi perpetuare il messaggio di Vittorio Arrigoni?
Vittorio Arrigoni, parlando di modelli, di stelle che illuminano il panorama così grigio di questi tempi, è una persona che ha voluto “vivere davvero” e ha voluto abbracciare un’umanità che vive in una precarietà terribile. Lui l’ha fatto, per dare una lettura più profonda e sottile della sua scelta, al di là del posizionamento popolare. Al popolo, infatti, è andata la sua solidarietà, il suo pensiero che è stato anche azione, volontà e un vero e proprio atto d’amore. Vittorio Arrigoni, semplicemente, ha scelto l umanità, si è schierato dalla parte dell umanità: i Palestinesi rappresentano, al momento, l’umanità più debole di quella parte di mondo. Quindi lì è andata la scelta di Arrigoni che penso sia un partigiano dell’umanità, prima ancora di essere un partigiano della causa palestinese nello specifico. Come perpetuarlo? Penso che sia un impegno che ognuno di noi può fare nel suo piccolo, nel quotidiano, nei più piccoli gesti. Dunque la sfida è “restare umani”, slogan che ha coniato e lanciato Arrigoni, cioè restare umani nonostante la condizione disumana, nonostante le sollecitazioni che ti orientano spontaneamente a perdere la tua umanità e ad agire in un determinato modo. Questo invito di Arrigoni è la nostra sfida, una sfida di chi vorrebbe perpetuare questo atto d’amore, questo sogno d’amore e applicarlo ogni giorno, restando umani. Diventare dunque umani o, meglio ancora, ridiventarlo senza mai perdere di vista tale dimensione sia per se stessi che per gli altri. Di certo non è facile, richiede uno sforzo, un impegno non di poco conto ma, comunque, penso ne valga la pena perchè con questo piccolo gesto che facciamo, ciascuno di noi può arrivare ad avere un mondo un tantino migliore, un tantino più bello e con più amore per gli uomini e le donne.
A che momento del tuo percorso sia umano che professionale ti trovi oggi, sia dal punto di vista individuale che come frontman dei Radiodervish? E cosa hai messo di tuo in Human?
Human segna un passaggio molto importante per me personalmente ma anche per i Radiodervish in generale. Sicuramente, è maturata una nuova dimensione umana e professionale con questo disco. È un disco intimo ma che contiene anche un grido di dolore e nello stesso tempo un grido di speranza. In questo album vengono raccontati anche degli episodi molto intimi e molto significativi di questo passaggio della vita. Questo dolore contiene una speranza e una sfida a vivere autenticamente, a riscoprire e ritornare a questa dimensione umana e di per sé è anche una trasformazione, un rinventarsi, una rinascita, un proiettarsi verso nuove frontiere e nuovi progetti sia personali che musicali. Come Radiodervish ci troviamo ad un punto che è un giro di boa, un punto di passaggio e una consapevolezza di quello che si è, una sfida che si lancia ma anche un orientamento, una proiezione verso nuove avventure musicali e artistiche.
Giovanni Boccuzzi