Qualche anno fa ebbe un buon successo editoriale “La prima sorsata di Birra e altri piccoli piaceri della vita” di Philippe Delerme; un libro minimalista, affatto chic e forse per questo assolutamente elegante. Giace tra la modesta libreria di chi qui immeritatamente scrive e, di tanto in tanto, viene sfogliato con l’ardore ed il rassicurante coinvolgimento che si serba agli amici più cari.
Ora, nell’approssimarsi di un week end lungo, varrà bene spendere bene quei quattro soldi eventualmente presenti nel “salvadanaiodeisogni” per non deludere la fidanzata, la famiglia, la mamma o, last but not least, se stessi.
Ora, prendete un treno.
Non uno di quelli dai nomi altisonanti, quelli dalla sala d’attesa “club”, quelli che sfrecciano a 300 all’ora insomma o, perlomeno, minacciano di farlo.
Affatto, prendete invece un classico interregionale, un po’ sfigato, quello che quando entri negli scompartimenti con le porte scorrevoli senti l’odore della pelle di una volta e magari l’aria un po’ stallatica del popolo in movimento.
Insomma, prendete uno di quei treni notturni, lenti, che partono da una Bari niente affatto da bere; lasciatevi alle spalle il traffico caotico e le scimmie urlatrici, i bagordi del lungomare, le secche vamp che fanno le vasche per le vie del centro portando la borsa con le fibbie appese all’interno gomito, l’interno polsi all’insù, la manina protesa a pugno che magari stringe lo smartphone o le chiavi magnetiche dell’utilitaria alla moda.
Lasciatevi cullare, mentre nel rassicurante tubo d’acciaio attraversate campagne e ogni tanto città sempre più piccole, dal dolce respiro dell’Adriatico di notte, dalle sigarette fumate in fretta alle fermate ogni mezz’ora, dal silenzio delle stazioni di città che sanno di lontano.
Lasciate che lo scorrere di ogni singolo minuto prenda le distanze dalla vostra necessità di staccare la spina.
D’un tratto – mentre comincia a farsi avanti l’aurora, mentre lottate con la vostra voglia di chiudere gli occhi e dormire all’infinito – vi verranno in mente antichi galeoni in partenza carichi di stoffe e filati, ed altri che arrivano in laguna carichi di spezie e odori di mille e una storia, e canti e dialetti e lingue e decine di notabili che girano per le calli contando le monete delle gabelle riscosse per il doge; e, ancora, l’odore del bitume spalmato sui pali infissi nelle melmose acque dei canali – per tenere chete le barche – e il dolce andirivieni delle gondole con turisti ridacchianti con visi allegri fuori dal tempo.
Sentirete le campane del San Marco, il dolce tintinnio dello storico Caffè Florian, e le urla dè pazzi di San Servolo, oggi Campus internazionale di assoluto rilievo.
Navigherete al mattino presto per il canal grande, incrocerete il barchino di legno lucido degli azzardosi giocatori del Casinò che rincasano in albergo, perdenti o vincenti di una esistenza sempre uguale.
Con un po’ di coraggio, prenderete il largo, punterete a Murano vetraia lambendo isolotti deserti con case ottocentesche scandalosamente in rovina, sole e vuote nelle quali desidererete abitare, fino alla fine dei giorni.
Ma spingetevi più in là, azzardate Lignano sabbiadoro, e poi a sud, a Chioggia.
Fermatevi in una trattoria con vista sulla strada Romea che arriva solcando la laguna e, magari, prendete – per la prima sera – solo una pizza ai frutti di mare e una bella birra, ghiacciata.
Tirate la prima sorsata fredda guardando i fari delle auto che passano, occhi confusi e belli mescolati tra asfalto e mare.
La voce della prossima fermata vi desterà.
Stiracchiandovi vi parrà, in questo sonnecchiare d’aurora, di esserci già vissuti a Venezia e dintorni..
Poi, all’improvviso, un raggio di sole arriverà a scuotervi dal torpore.
Allora vi tirerete in piedi e guarderete a destra, oltre i vetri un po’ appannati dalle troppe notti insonni nello stesso scompartimento.
Il sole, fetta di luce e acido – piacevole – oltre un azzurro e rosa di un mare che non avete forse mai visto – o mai da tempo così – nitido ed assolutamente imperdibile.
Qualche altro attimo di chilometri e vi addormenterete davvero.
Salvo poi ritrovarvi – capolinea confuso e forse inaspettato – nel grigiore smarrito di una stazione come tante, di marmi lucidi e un po’ di vetusto.
Sgranchite le gambe, scendete e , d’un tratto, ricordatevi di Delerme.
Una scalinata e pum! il miracolo.
Il mare, a pochi passi, mescola il profumo di Venezia con i croissant della stazione al primo mattino.
Il mare, che vi ha accompagnato tutta la notte in questo viaggio vecchio e un po’ romantico, lontano dalla frenesia dei check in e dei voli low cost e delle carte di credito e di imbarco.
Il mare, voi che a volte magari vi sentite un po’ così, ecco, si è scomodato ed è venuto a prendervi, divi per tre giorni, ospiti dei vostri sogni, direttamente alla stazione.
O forse, qualche sua goccia, v’ha seguito per chilometri sin da Bari, solo per aspettarvi, sconosciuta tra tante, solo per dirvi:
Benvenuti a Venezia.
Ah, quasi dimenticavo la chicca/sorpresa(in questa rubrica occorrerà che ci facciate l’abitudine).
Passate dalla chiesa di San Nicolò del Lido.
Pochi Baresi sanno, infatti, che parte delle reliquie del nostro amato Santo giacciono anche lì.
E non chiamatelo, please, San Nicola dei Veneziani.
Questo Santo è troppo grande per una sola provincia e, forse, la goccia che v’ha inseguito v’ha solo preso in giro: l’obiettivo del suo girovagare era, al pari del vostro, un inconscio fabbisogno di semplicità. Magari solo di salutare il nostro amato Santo, proprio lì, in cima all’Adriatico.
Roberto Loporcaro
roberto_loporcaro@virgilio.it