Colgo l’occasione per il mio commiato dalla redazione di Made in Italy dopo questo biennio di collaborazione con un articolo che viene fuori da una immagine, ormai tristemente nota sui più popolari social network.
I lettori mi perdonino: ho sbagliato.
L’articolo non è semplicemente venuto fuori, è letteralmente scoppiato da quella immagine, è esondato, è esploso.
Mi riferisco alla foto della piccola profuga Siriana Hudea, di età certamente tenerissima, che spaventata dalla macchina fotografica si arrende al fotografo Osman Sagirli.
La prima sensazione, perché trattasi di quelle foto che non necessitano di descrizione (pura tragica arte capace di cogliere la drammaticità non di un momento, ma di una intera fase storica), è stata la vergogna dettata da una constatazione di ipocrita impotenza. Laida, rilassata, inutile.
La seconda, mio malgrado, la rabbia .
Anni orsono chi scrive si arruolò per portare nel mondo biscotti a questi fanciulli senza speranza e proiettili o anche peggio ai perseveranti cattivi di turno, previ miti consigli , spesso disattesi come il ventennio ormai passato da quel che la Somalia ci avrebbe dovuto insegnare.
La terza sensazione, curiosità della psiche umana, la necessità di lasciare un taglio, una cicatrice nella storia di un piccolo cronista di periferia, indelebile e virale.
Queste tre sensazioni oggi si riuniscono nel mio commiato – spero temporaneo – dalla redazione di Made in Italy Notizie, e mi fanno riflettere sulla responsabilità che grava sulle spalle di ciascun singolo adulto di questo pianeta.
Lascio ai lettori, dopo la vergogna di cui non mi libererò mai più, una piccola traccia che spero anche gli altri conservino.
Una traccia che parla di speranza ma che non può non passare da una ferma non presa di posizione, ma incitazione al movimento.
Notizia è descrizione del fatto ma dovere morale anche di un giornalista è sprono alla riflessione civica anzi, in questo caso, civile, a cui necessariamente deve seguire la azione.
Signori lettori e gentilissime signore lettrici, la piccola Hudea è la nostra condanna.
Una condanna che non è affatto preventiva, ma consuntiva al nostro immobilismo.
Siamo immobili perché anche muovendoci, nel nostro quotidiano, non abbiamo saputo far si che – mentre i nostri governanti spediscono fior di truppe a difesa di una installazione petrolifera – trascinati dal vortice di parole vomitate dai vertici tergiversiamo sulla natura delle cose accoccolandoci al calduccio temporaneo di questi tempi di mancate certezze.
Siamo pronti ad infervorarci per visioni politiche, unioni di fatto, partite di calcio, visioni pro e anticlericaliste, liti di condominio.
Ma il nostro immobilismo residuo, che sovrasta in danni ogni anche più pregevole attivismo, ci consegna nuovamente l’amara realtà delle cose.
Quanto deve essere distante il dolore per causare una reazione necessaria?
Perdonaci tutti, nessuno escluso, piccola Hudea.
Roberto Loporcaro