Da oggi prende avvio il primo capitolo di una rubrica dedicata al mondo dell’arte. Proprio la creatività e la fantasia della mente umana, i sentimenti che emergono quando si sente il bisogno di dire qualcosa, saranno protagonisti di questa piccola raccolta di articoli. Desiderio dell’autore sarà cercare di fare da “eco” all’arte che non riesce a svincolarsi da quelle logiche consumistiche, che relegano il complesso e l’arguto ai margini del mondo moderno. Oggi vorrò sviscerare il testo di una canzone che possiede solo 200.000 visualizzazioni su YouTube, a fronte dei milioni ottenuti dal rituale tormentone estivo. Un brano evocativo, scritto da Rancore, un rapper romano impregnato di filosofia e cultura hip hop, che trova troppo poco spazio nel panorama musicale italiano. Il titolo è “Tengo il respiro”.
Testo: “Tengo il respiro”
Secondo la tecnica dell’entralecement, Rancore svela subito il finale della vicenda: un uomo da solo sta cercando una nottola (civetta), ed ad un certo punto, spara un colpo di pistola (fatto presagire attraverso l’onomatopeico “Booom”). Nella prima strofa, troneggia la metafora della nottola, che Hegel elevò a simbolo della filosofia. Il riferimento è chiaro. Il filosofo tedesco si servì più precisamente dell’immagine della “civetta di Minerva”, emblema della sapienza che si sprigiona al tramonto del giorno. Proprio per questo la ricerca dell’uomo si fa vana: bisogna attendere la notte per cercare di catturarla, ma è buio pesto, ed è impossibile vedere cosa c’è intorno.
La seconda strofa si fa più caparbia, dal momento che vi è una prima provocazione sul nostro modo di concepire la realtà per dicotomie. Siamo abituati a distinguere il bene dal male, il vero dal falso, polarizzando ogni concetto e, per certi versi, limitandolo. I “venditori di allegorie”, descritti subito dopo, sono i poeti. Rancore si scaglia, con un ‘tu’ ideale, contro la società moderna, insofferente all’arte che non può essere semplificata col binomio ‘bene-male’.
La strofa successiva si collega alla precedente. Si mette in luce, infatti, come con l’avvento della modernità tutto debba essere sempre stereotipato, inserito in categorie precostituite, attraverso calcoli perfetti. Siamo androidi, senza sentimenti. Persino l’autore ammette la sua ‘colpevolezza’: anche lui cercava di calcolare la sua donna, come sinusoidi. Significativo l’imperfetto “calcolavo”, dal momento che ora sa la vera natura dell’uomo.
Ma la mancata ricerca della sapienza crea dolore e sconforto nel cuore di chi sa che non potrà mai raggiungerla. Rancore ci dice che quest’uomo è in procinto di sparare ad una donna, la sua donna. Ecco un’altra allegoria che Rancore vuole “vendere”. La donna è la nottola, e quindi sapienza, filosofia. Rancore, qui, si riallaccia a quegli autori che si sono “serviti” di una donna e del loro amore per lei, come allegoria dell’amore alla vita. Chiunque ha fatto esperienza d’amore. Diventa facile adottare quest’immagine, dunque, per cercare di rendere più comprensibile la propria aspirazione a qualcosa di superiore. Ma qui, l’autore è stanco di aspettare, il suo amore verso qualcosa che non può avere è doloroso. Si spiega così il colpo di pistola.
Dirompente sarà, nella strofa successiva, la frase “l’amore ha paura del buio”: quella stessa oscurità che non permetteva all’uomo iniziale di realizzare il suo sentimento d’amore verso la donna-sapienza. Rancore sa bene che questa forma di sentimento non è per tutti. Non si tratta di un’ottica elitaria dei sentimenti, bensì di quanto si provi a svincolarsi dalla materialità del nostro contesto di vita. In un mondo sempre più razionale, le stelle perdono quell’aura di arcano e trascendente, riducendosi a mero asteroide.
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