Torniamo indietro di un ventennio, fatto di afosi pomeriggi pre-estivi in cui nel torpore post-scolastico da una emittente chiamata RTG un distinto signore alternava un monologo politico a bevute di bicchieri di latte (lo sponsor principale) adentrandosi spesso nella lingua italiana, saltando al malcostume Barese o Pugliese, rimembrando fatti del ventennio quando – e credetemi a chi scrive a questo ricordo ed al ricordo di questa frase e del suo narratore vengono le lacrime agli occhi – ” s scev in camporell a Pan e Pomodor durant la fest d Santa Nicol ” e quì un mezzo sorriso e poi un gesto della mano “aah! sapeste quanti bei bambini baresi devono il loro concepimento alla festa del Patrono!”
E dunque, consentite a questo umile redattore di far da tramite per quello che Franco Sorrentino, insigne giornalista e letterato nonchè Presidente della Provincia di Bari, avrebbe forse commentato sulle vicende elettorali di questi giorni, bacchettando come solo lui sapeva fare.
“E così cari amici sono passate anche queste elezioni Regionali.
O non elezioni?
(risata)
Si perchè, in Democrazia si parla di elezioni individuando quel momento in cui, volendo citare il Treccani, vi è designazione mediante voto delle persone chiamate a rappresentare una collettività .
Quale nobile definizione.
Esaminiamola meglio, adentrandoci nei meandri del nostro eccelso idioma.
Designazione:
un suono, nobile, soave, come quelli dei poeti cantastorie che giravano per la città vecchia ai tempi dei pellegrini scalzati.
dal lat. designare, der. di signum «segno», vuol dire indicare, incaricare la persona per un dato ufficio.
Mediante voto:
Ahh, cari amici! Quanti di noi hanno i capelli – pochi ormai – bianchi come me ricordano quanto i nostri progenitori hanno lottato amaramente per la rivendicazione di questo straordinario diritto!
Delle persone chiamate a rappresentare una collettività:
Quà è sublimazione del concetto.
Chiamate, assurge quasi a nobiltà ecclesiale, d’altri tempi.
Perchè la chiamata, in questo caso laica, civica, viene dalla collettività, ovvero dal popolo.
Badate bene amici miei!
Non da un quarto di popolo, come il pollo al girarrosto ottimo che fa l’amico (seguiva reclame), macellaio d’altri tempi, ne dal mezzo popolo, ma dal popolo per intero!
Perchè scusate, nella nobiltà del concetto di chiamata, che cosa può esprimere un mezzo popolo che va a votare?
Una mezza chiamata?
E che vuol dire?
E come uno che chiama al telefono la zia lontana, inizia la telefonata con “Ehi ciao Zia come stai?” eppò c’achiud u telefon.
No cari amici.
Se si parla di chiamata intera ci vuole il popolo intero.
Vabbè, si sa, magari intero al 100% no.
Ci sarà sempre quello malato, quello che quel giorno lavora tutto il giorno (ne dubito coi tempi che corrono ma comunque..), u complottist, l’agent segret, il turista all’estero per viaggio premio.
Ma che cosa dovrebbero essere questi astenuti, in condizioni normali, in condizioni di democrazia tutta intera.
Il 2, il 3% al massimo, non u cinguant!
Sennò cari amici, è inutile che parliamo di elezioni.
Parliamo di mezze elezioni!
Parliamo di mezza chiamata, quindi cari amici, stiamo parlando di mezza democrazia.
E secondo voi tutti i nostri padri, nonni, bisnonni, sopratutto quelli morti in guerra, d fridd alla campagn di Russia, non si stanno a rivoltare nella tomba?
Suvvia cari amici, diciamoci la verità:
siamo tutti bravi a casa a stare a fare tribuna politica, a sentire l’amico Franco che disc sus e sott, e chi mi da ragione e chi mi da torto e poi mi fa sentire in ogni caso la sua vicinanza con le telefonate, con le lettere, quando ci si incontra per strada o al bar (altra reclame) dove fanno un caffè sopraffino con la miscela macinata al momento.
Ma, diciamoci la verità, potremmo e possiamo stare a parlare e a scrivere di politica e di immondizia e tasse a non finire e di questo o quell’altro problema della nostra amata Bari, della nostra amata Puglia, per ore e ore e ore!
Però se un giorno ogni cinque anni, anzi al massimo mezz’ora di quel giorno, non lo dedichiamo ad andare a mettere una croce, cari amici, noi non siamo degni di essere chiamati elettori.
Noi non siamo degni di essere chiamato popolo!
Noi non siamo degni di essere chiamati cittadini, uomini e donne.
Al massimo, se non andiamo a votare, mezzi uomini, ominicchi come diceva il grande Totò.
Beh,vabbè, ora vi devo lasciare.
Mi dovete scusare ma questa bacchettata vista l’astensione di ieri non potevo risparmiarla.
E poi, ricordatevi poi quando ve ne lamentate:
VU’ L’AVIT VOTAT!
E la frase questa volta vale pure per chi non ha votato, che di fatto ha agevolato il più forte.
Ciao a tutti amici miei e alla prossima”
Roberto Loporcaro in memoria di Franco Sorrentino