È uscito nelle sale italiane giovedì 11 aprile, ma la critica del pubblico resta divisa per l’ultimo film di Lasse Hallström tratto dall’omonimo romanzo di Lars Kepler. Fa da scenario un’ambientazione nordica, scandinava (e qui occorrerebbe fare la differenza) in cui il commissario finlandese Jonna Linna (Tobias Zilliacus) deve indagare sul triplice omicidio di una famiglia sterminata il cui unico superstite è il figlio minore ma in stato comatoso. Il commissario intende risolvere il caso senza lasciarlo alla squadra omicidi di Stoccolma. Sa che deve trovare il modo per interrogare l’unico superstite perché teme che la follia omicida del serial killer possa colpire anche l’unica figlia ancora in vita ma che sembra non voglia farsi rintracciare. È chiamato a sostegno per l’interrogatorio Erik Bark (Mikael Persbrandt) il medico ipnotista: un uomo in lotta con un passato burrascoso e con un rapporto familiare minato nella sua serenità con la moglie Simona (Lena Olin). Le indagini portano a risultati frammentati e depistanti fino alla risoluzione finale pur senza raggiungere lo “spannung”. Un film che rientra nel cinema di genere e che non racconta miti ed eroi inverosimili hollywoodiani ma si riflette come lo specchio della realtà. Il regista di Chocolat e de Le regole della casa del sidro meriterebbe un plauso per aver dato vita a un film fatto di sentimenti ed equilibri familiari che ha sapientemente incrociato con gli enigmi e i colpi di scena ma intessuti con troppa lentezza e troppi dettagli lasciati al caso. La tensione emotiva sale, sale per poi scendere vertiginosamente dinanzi a un finale a sorpresa che non realizza la suspence e una risoluzione che appare troncata e senza slanci emotivi dei protagonisti. Una prova cinematografica che non convince tutto il pubblico che si spacca tra sostenitori e detrattori di un film di genere che riporta sulla scena il nord e i suoi modi di vivere così caldi e così freddi.
Giuseppina Raco