MAROCCO – Dopo l’Ucraina, i destini della Fifa e del randagismo si intrecciano. In occasione della visita di alcuni delegati della Federazione calcistica nella regione di Taghazout, un piccolo villaggio di pescatori a pochi chilometri da Agadir, per controllare l’adeguatezza del territorio ad ospitare i mondiali di calcio 2026, è in atto un vero e proprio sterminio di cani randagi da parte dello Stato. “A Taghazout da lunedì non c’è più nessun cane. Uomini armati e gendarmi sono arrivati di notte con dei camioncini. Pagando ragazzini per sapere dove si nascondevano i cani ne hanno poi uccisi a decine fucilandoli o acciuffandoli con delle reti e trasportandoli per ucciderli da un’altra parte”, spiega Lorenzo Niccolini, istruttore cinofilo formatosi alla SIUA di Bologna.
“Da queste parti i cani non sono molto tollerati, anzi”, prosegue Niccolini. “Mentre il gatto è quasi sacro, soprattutto perché mangia i topi, e altri animali vivono, almeno fino al giorno della loro uccisione a fini alimentari, liberi di pascolare dal momento che non ci sono allevamenti di tipo intensivo, il cane è generalmente bandito. Quando passa il re in parata, ad esempio, anche all’associazione Le Coeur sur la patte è stato ordinato di raccoglierli tutti e renderli invisibili agli occhi del sovrano”.
La situazione, tuttavia, appare pressocché contraddittoria. Se si mette in luce il fatto che la zona di Agadir vive un grande momento di rilancio turistico, anche di lusso, non sostenuto tuttavia da una sufficiente organizzazione di smaltimento di rifiuti, si ben capisce sia facile per i randagi sfamarsi, vivere e procreare, accrescendo sempre di più il problema.
Niccolini e altri educatori SIUA si sono messi all’opera per affrontare la situazione di Taghazout. Da quattro anni, forniscono aiuto all’associazione locale marocchina in merito alla sterilizzazione, alle vaccinazioni e alle cure, come ad un’educazione minima dei randagi. “Se conosci l’etologia dei cani nell’ambiente rendi la convivenza con la popolazione il più serena possibile”, sottolinea Niccolini. “Ora andare avanti non è facile. Hanno ucciso anche Shonik il cane simbolo del nostro progetto e che si può vedere nella nostra pagina Facebook. Era rispettato da tutti, ed era stato adottato da un pescatore. Gli abitanti del villaggio lo adoravano e lo chiamavano “wasir”. Ci ha guidato nelle perlustrazioni ed era spesso nella piazza centrale. Sarà sicuramente stato il primo ad accogliere i suoi carnefici. La sua bontà e la sua fiducia verso l’uomo lo hanno condannato alla morte”.