“La musica è una macchina per sopprimere il tempo”. Prendiamo spunto dalle parole del filosofo francese Claude Lévi-Strauss, per recensire il nuovo, attesissimo disco di Beck dal titolo “Morning Phase”, il suo dodicesimo album in studio, che arriva a sei anni di distanza dal precedente “Modern Guilt”. Perché, scorrendo le 13 tracce che lo compongono, a cominciare dall’ariosa introduzione di archi di “Cycle” (della durata di pochi secondi, in realtà), la sensazione che si prova è una sorta di sospensione temporale, di quieta imperturbabilità, di sentimenti pacificati in un puro stato contemplativo. Beck imbraccia la sua sei corde e ci invita a seguirlo in un viaggio della mente e dello spirito, per scovare “una luce d’amore nella tempesta” e “il diamante che splende in fondo all’oceano” (“Morning”), abbandonandoci all’onda delle emozioni senza opporre resistenza, non per finirne sommersi ma per essere trasportati via, verso un altro luogo, un altro tempo (“Wave”).
Le atmosfere eteree, finemente tratteggiate con soave leggerezza dalla sua chitarra acustica, compongono un folk semplice, essenziale, di una luminosità cristallina. “This morning i let down all my defenses”, canta in “Morning”. Questa mattina abbasso ogni mia difesa. Ed è questa, ci sembra, la chiave per comprendere appieno “Morning Phase”, la cifra stilistica, la linea programmatica che sottende l’intero album, ciò che lo rende diverso dagli ultimi lavori del cantautore californiano e molto più vicino a un disco come “Sea Change”, del 2002, di cui questo sembra l’ideale seguito. Niente sovrastrutture, artifici, sperimentazioni e commistioni di generi, ma un ritorno alla forma-canzone pura e semplice, con arrangiamenti ridotti all’osso. Quella di songwriter del calibro di Nick Drake, Scott Walker e Neil Young, a cui il nostro ha ammesso di essersi ispirato mentre incideva l’album.
L’accordo limpido di chitarra che apre il primo brano, “Morning”, è già una dichiarazione d’intenti; Beck non vuole stupirci con le sue (re)invenzioni sonore, frutto di contaminazione tra rock, pop, soul, funky, hip-hop e chi più ne ha più ne metta, ma affidare le sue parole ad una melodia semplice e diretta, che si dipana lenta, quasi ipnotica, punteggiata qua e là da alcune note di piano. Ancora meglio fa in “Heart is a Drum”, con la voce che si sdoppia e un arpeggio di chitarra acustica a farla da padrona, e in “Say Goodbye” (che a dire il vero sembra un po’ troppo simile a “Already Dead”, proprio di “Sea of Cheange”…), impreziosita da un bell’accompagnamento di banjo, mentre il tempo rallenta e si dilata ulteriormente in “Unforgiven”. La seguente “Wave” si apre su un cupo tappeto di archi, su cui si stende il cantato glaciale di Beck, che sembra provenire da distanze siderali. “Don’t let it go” e “Blackbird Chain” sono un vero piacere per le orecchie, con quel loro incedere lungo i sentieri del folk più luminoso e senza fronzoli, mentre in “Blue Moon” ritorna un accenno di elettronica, per dipingere un bozzetto minimalista di grande potenza evocativa. Ma probabilmente i brani più belli sono “Turn Away”, un invito al silenzio e alla contemplazione retto soltanto da un arpeggio di chitarra, su cui viene successivamente imbastito un raffinato accompagnamento di violini (“Turn away / From the sound of your voice / Calling no one / Just silence”) e “Country down”, un folk dalle venature country (come suggerisce il titolo) dove si inseriscono progressivamente un’armonica e una pedal steel, che quasi commuove per la sua semplicità. Chiude l’album l’intensa “Waking Light”, una ballata pianistica che si ricongiunge con il brano di apertura, aprendosi alla speranza (“When the morning comes to meet you / Fill your eyes with waking light”).
In conclusione, “Morning Phase” non vincerà forse il premio per il disco più innovativo dell’anno e sicuramente non contiene quei guizzi di genialità a cui l’artista californiano ci ha abituato, però è un album che conquista con la sua dolcezza e la sua profondità, al quale va concesso ben più di un frettoloso ascolto. Un album da assaporare lentamente, soprattutto in quei momenti in cui si avverte l’esigenza di staccare un po’ la spina e di ritagliarsi un angolo di quiete.
nicola papa