La malattia mentale nasce sempre da un presupposto di incapacità di adattamento ambientale, che crea prima un disagio ai fini della stessa sopravvivenza e poi di incapacità a vivere, che si può manifestare nelle maniere più diverse, ma che in genere rispecchiano il vissuto precedente dell’individuo. Si può comprendere così la tipizzazione delle diverse malattie secondo il tempo di comparsa durante la sua fase di sviluppo.
La differenza fra le malattie organiche e quelle mentali valida solo nelle grandi linee è che le prime presentano alterazioni di organo mentre le seconde alterazioni funzionali, che possono interessare sia gli stessi organi sia le attività comportamentali dell’individuo.
Sono queste ultime che caratterizzano principalmente le malattie mentali.
Tali malattie che possono comparire fin dai primi anni di vita, presentano una gradazione di gravità secondo il loro tempo di comparsa, nel senso che la stessa tipologia di malattia, se non curata e a parità di condizioni ambientali, prima compare più può diventare grave nel tempo. Le stesse forme autistiche, che si manifestano nei primi anni di vita, nelle forme più severe presentano un deficit più o meno evidente di strutture nervose cerebrali, ad indicare la comparsa più precoce della malattia, con difficoltà in genere molto gravi di integrazione sociale.
Durante la fase scolastica dell’individuo le diverse forme e capacità di apprendimento dovrebbero rilevare la loro diversa possibilità di integrazione, cosa che spesso non accade per incapacità di valutazione degli insegnanti da una parte e dei genitori dall’altra: i primi per motivi culturali, i secondi per ragioni prevalentemente affettive.
Il confronto con gli altri, a livello scolastico fa iniziare quella valutazione di se stesso che costringe l’individuo a operare delle scelte identificative che, fatte proprie, saranno di modello per il suo vivere futuro. Tali scelte saranno di confronto a quelle iniziali precedenti operate in maniera maggiormente recettiva, ma con minore spirito critico. Se queste sono poco valide, sfuggenti o peggio traumatiche, nel senso di non riproponibili o manifestabili, i nuovi modelli prenderanno il sopravvento in maniera acritica e dispersiva, senza permettere la crescita dell’individuo in senso unitario. Una personalità è positiva quando è coerente nel suo sviluppo, in quanto ha possesso e controllo di tutto il suo vissuto che viene finalizzato alla costruzione della immagine di se stesso, in cui il rapporto con gli altri non deve essere assoluto o dominate. Se ciò accade l’individuo invece di proiettare la sua immagine, la cui valutazione per lui deve precedere per essere in sintonia con quella degli altri, la modella in maniera instabile secondo continui riferimenti.
Questi non devono condizionare oltre un certo limite la valutazione che un individuo fa di se stesso nello svolgimento delle sue azioni. Diversamente egli non valuterebbe i suoi limiti, superati i quali le sue capacità di adattamento verrebbero progressivamente meno, creandogli prima disagio e poi incapacità relazionale.
Il sociale, come oggetto realizzativo dell’individuo, ha dei parametri e dei riferimenti storico–culturali, che non tutti possono fare propri. Ma non solo, in quanto anche chi ha notevoli doti di apprendimento e di adattamento se non rispetta le regole del riposo, del distacco e soprattutto della corretta valutazione di se stesso e delle sue possibilità di azione, che non siano frutto di desideri e di esaltazioni, può giungere ad un limite di rottura relazionale e entrando anche egli in un stato di malessere, che può diventare malattia. Questa non necessariamente colpisce le menti più deboli, anche se più facilmente esposte all’incertezza dell’esistenza. Il sociale accumuna tutti gli individui e ognuno di loro, da come in esso vive e riesce a realizzarsi, rivela la sua storia, a partire da quella biologica a finire a quella ideativa. E’ questa che se mal diretta e non trova nella realtà pratica dell’azione il suo fine e la sua realizzazione, si disperde e si smarrisce nel labirinto della follia, nella disperata ricerca di trovare una via d’uscita.
Chiunque ha questa sventura dovrebbe, già prima di subirla, comprendere e prepararsi a fermarsi prima che la sua mente inizi a correre inutilmente, nei meandri del suo vissuto, perdendo ogni relazionalità costruttiva con gli altri.
L’attività ideativa della mente umana quando non è una costruzione del proprio vissuto esistenziale, fatto di conoscenze e di riflessioni che si devono intrecciare in una trama ben ordinata, ma imposta senza pause da un’esperienza a un’altra, specie se vissute in maniera emotivamente coinvolgente, non dà più all’individuo un filo conduttore per il suo comportamento, che viene a frammentarsi in schegge irrazionali e a volte esplosive. Quando ciò succede bisogna immaginare la mente umana come quella di un individuo che non riesce più a respirare e che, disperato, cerca una via di fuga che per lui rappresenta di salvezza.
Siccome ciò non avviene, la società invece di comprenderlo nel suo malessere, per difendere anche se stessa preferisce escluderlo da essa coartandolo nella sua libertà, in passato con diverse forme di violenza che si mascheravano come presidi medici, come la camicia di forza, la criminosa lobotomia e l’elettroshock e oggi con farmaci che possono spegnere quell’attività ideativa non più controllata e controllabile.
La malattia mentale compare quando il tempo dell’individuo, nella rielaborazione e nello svolgimento delle sue azioni, non è più quello sociale che è costretto a vivere.
dott. Virginio De Luca