Dopo aver già sbancato il botteghino, il film di Guillermo Del Toro, viene sommerso letteralmente di premi. The Shape of Water (La Forma dell’Acqua), già a Venezia si era aggiudicato il Leone d’Oro, superando la nota prevenzione festivaliera per i blockbuster (termine con cui gli addetti ai lavori indicano, non senza un certo sussiego, le pellicole che ottengano un successo commerciale). Dopo aver incassato due Golden Globes (su 5 candidature) e tre BAFTA (British Academy Film Awards) su 12 candidature, si è presentato alla Notte degli Oscar con la bellezza di tredici nomination, ottenendo quattro Premi Oscar: Miglior Film, Migliore Regia, Migliore Colonna Sonora Originale e Migliore Scenografia. Il film si inserisce nel genere fantasy-drammatico, avvolto nella gotica atmosfera, già cara al visionario regista messicano, e si avvale di un cast mirabilmente adeguato. La vicenda narrata ricalca il cliché della Bella e la Bestia, sebbene, in questo caso, il mostro sia direttamente ispirato alla misteriosa creatura di un celebre b-movie horror degli anni ‘50, Il Mostro della Laguna Nera, diretto da Jack Arnold. La vicenda si svolge nel 1963, nell’atmosfera pesante di intrighi e di sospetti che caratterizzò la Guerra Fredda. Elisa, una giovane donna, muta e non troppo attraente, interpretata da Sally Hawkins, è addetta alle pulizie presso un laboratorio segreto di ricerca, con la collega e amica afroamericana Zelda (Octavia Spencer). Unico diversivo nella sua monotona e solitaria esistenza, l’amicizia con il suo vicino di casa, Giles (Richard Jenkins), non più giovane e non meno solitario disegnatore, discriminato sul lavoro per la sua omosessualità ed appassionato cultore dei vecchi musical hollywoodiani. La quotidiana routine dei tre, verrà presto sconvolta, quando le due donne scopriranno che, nel laboratorio presso cui lavorano, è tenuta prigioniera una misteriosa creatura. Si tratta di un anfibio umanoide (interpretato da Doug Jones), strappato alle acque di un fiume amazzonico dove viveva venerato dagli indigeni come una divinità. Completano il quadro dei principali personaggi della vicenda, il sordido colonnello Strickland (Michael Shannon), carceriere ed aguzzino della povera creatura, interessato solo alla propria carriera, e l’appassionato scienziato dott. Hoffstetler (Michael Stuhlbarg), incaricato di studiare il misterioso essere per scoprire il segreto della sua fisiologia, al fine di avvantaggiare gli americani nella corsa allo spazio contro i sovietici. Subito affezionatasi alla creatura, Elsa comincia a farle visita segretamente, finché scopre che Strickland ha ricevuto l’ordine di vivisezionarla. Decide allora di salvarla, coinvolgendo nel suo piano Giles. Il piano di fuga folle e molto ingenuo ordito dai due, ha successo, con l’ausilio di Zelda, inizialmente contraria all’impresa ma incapace di tradire l’amica e, soprattutto, grazie proprio al dott. Hoffstetler, che si scopre essere una spia russa incaricata di sopprimere la creatura prima che gli americani potessero utilizzarla, ma che alla lealtà nei confronti della propria nazione, preferisce alla fine la lealtà alla scienza ed alla propria natura umana. Ospite dopo la fuga nella casa di lei, il misterioso umanoide e la ragazza si abbandonano ad una intensa relazione erotica e sentimentale che sarà bruscamente interrotta dalla persecuzione del pertinace Strickland. L’inevitabile dramma finale si compie nello spirito puro della fiaba classica. La delicata caratterizzazione dei personaggi, la direzione intelligente e mai scontata di Del Toro, arricchita da numerose citazioni cinematografiche con cui il regista si compiace di nutrire il gusto dei più raffinati cinofili, ed il linguaggio semplice ed accattivante, rendono l’intera opera piacevole e fruibile e giustificano ampiamente il successo al botteghino. Al di là degli indiscutibili meriti, tuttavia, la pellicola si rivela sostanzialmente un simpatico favolone, impolpettato dai numerosi e banali stereotipi politically correct, cari alla cultura, non solo cinematografica, americana di questi tempi, dalla discriminazione di genere e di razza, alla molestia sessuale, dalla cecità del potere, all’insensata violenza della Ragion di Stato, il che non giustifica come possa essere stata incensata di tanti prestigiosi premi ed addirittura elevata, da certa stampa, a manifesto della democrazia e contro qualsiasi discriminazione, messaggero di amore e di tolleranza.