Io, un giorno crescerò
e nel cielo della vita volerò
ma, un bimbo che ne sa
sempre azzurra non può essere l’età
Poi, una notte di settembre mi svegliai
il vento sulla pelle
sul mio corpo il chiarore delle stelle
chissà dov’era casa mia
e quel bambino che giocava in un cortile
Io vagabondo che son io
vagabondo che non sono altro
soldi in tasca non ne ho
ma lassù mi è rimasto Dio
MONDO – Ambizione e coraggio, questi gli ingredienti dei giovani d’oggi.
In realtà si è sempre cercata una vita migliore perché ‘chi si accontenta gode…così così’, ma ultimamente dal Belpaese sarebbero in fuga più di 3mila giovani( e non) cervelli.
In Italia le condizioni di lavoro sono meno favorevoli dal punto di vista economico e culturale, le possibilità di carriera sono sempre più basse.
Ma questo non sarebbe solo un fenomeno italiano se pensiamo che uno degli obiettivi giovanili di sempre è quello di viaggiare e conoscere il mondo, con la speranza di appagamento.
La stessa speranza che ha portato Giulio Regeni, Marco Gottardi e Gloria Trevisan a lasciare la propria casa per realizzare quelli che da bambini erano solo piccoli sogni e che col tempo erano diventati grandi progetti.
Impossibile riassumere storie e volti di giovani che ogni giorno lasciano le comodità quotidiane per gettarsi in esperienze ignote, ma possiamo proporvene una.
Vernal è una giovane ragazza libanese arrivata in Sardegna per il suo dottorato di ricerca e ha voluto raccontare la sua esperienza in una lettera dedicata a suo padre:
Nostalgia, malinconia e amarezza sono alcuni dei sintomi di cui si soffre quando si è lontani dalla propria casa.
Ma papà, sai che esiste anche il mal di paese invertito?
Invertito?
Sì, perché in questo caso non è il paese d’origine che mi manca, bensì il paese visitato.
Ricordi? Il primo posto di cui mi sono follemente innamorata era Roma, all’età di 24 anni, e da allora ho giurato che sarei tornata in Italia per un periodo più lungo.
Ti scrivo per dirti che mi manchi da morire, (anzi da vivere!), ma sto bene, papà. La Sardegna, con la sua generosità, è splendida. In questo mi ricorda tanto la nostra terra, il Libano, sai condividiamo innumerevoli valori, idee e tradizioni.
Papà, ricordo tutto.
Ricordo le centinaia di fotografie che mi scattavi, giorno e notte, e che hai preservato nella biblioteca di casa, le circostanze e le situazioni, tristi e gioiose, di ciascuna di esse.
Ricordo le storie che raccontavi per ore, a me e mio fratellino, seduti entrambi sulle tue ginocchia, per distrarci dal rumore delle bombe, in quelle notti buie che sembravano eterne.
Ricordo come correvo al telefono dalla vicina ogni volta che chiamavi dal Kuwait per assicurarti che stavamo andando bene a scuola e che la mamma non fosse triste.
Ricordo i gustosissimi lupini che mangiavamo in macchina, tutti i giorni per due anni, mentre aspettavamo l’uscita di mio fratello da scuola.
Ricordo quando, piangendo dopo essere arrivata seconda al concorso di cultura provinciale, hai aggiunto due gran biglietti di soldi alla bustina del premio per avere lo stesso importo che aveva avuto la prima e, quando ti ho chiesto come mai non me ne fossi accorta, mi avevi risposto: “Erano incollati non lo sai?” Ma io lo sapevo papà che eri stato tu!
Ricordo la gran vergogna che ho provato quando mi hai dato uno schiaffo forte alla mano davanti alla nostra parente per aver mangiucchiato le unghie, ma ricordo anche che sono passati quasi 20 anni dall’ultima volta che l’ho fatto.
Ricordo i miei pianti quando hai deciso di partire ad Erbil per poter pagare le altissime tasse universitarie di Ingegneria di mio fratello, che oggi e grazie a Dio, ce l’ha fatta!
Ricordo le prese in giro e le risate mentre mi facevi scuola guida e io scambiavo il freno con l’acceleratore.
Ricordo come mi sono aggrappata alle tue gambe, seduta per terra, appena tornato da un viaggio di due anni in Qatar, come se volessi impedirti qualsiasi eventuale spostamento dentro e fuori di casa.
Ricordo la musica che, in mezzo ad un traffico interminabile, ascoltavamo in macchina mentre mi accompagnavi alle lezioni di spagnolo e le nuove parole e frasi che volevi sentirmi dire dopo ogni lezione.
Papà, so che l’ultima volta che dovevo tornare in Sardegna dopo le vacanze, non hai voluto accompagnarmi all’aeroporto, non perché avevi da fare come hai detto, io lo so perché, papà!
So anche che dopo ogni risata gioiosa e divertita al telefono c’è un crepacuore, lo sento te lo giuro papà, non fare finta di niente!
Papà, sei stato il primo uomo che abbia amato. Mi hai insegnato cosa sia l’amore e cosa non lo sia. Mi hai insegnato che l’amore è essere forte e umile. E un giorno, presto – forse – so che, quando mi accompagnerai all’altare e mi consegnerai ad un altro uomo, gli dirai qualcosa, un pensiero, una raccomandazione, io so cosa sarà, papà. Tu sappi però, che, lasciando andare il tuo braccio, il mio cuore rimarrà per sempre modellato a forma dell’amore che mi hai mostrato.
Mamma, non devo dirti quanto sia immenso il mio amore per te, ma oggi è il suo giorno, buona festa del padre, papà!
Per sempre,
La Tua Bambina.
Molte sono le storie simili a quella di Vernal e di tutte le famiglie riunite dopo anni; altre non lo saranno, sentendosi responsabili di aver acconsentito a quel saluto dal sapore di addio.