A seguito dell’incontro di orientamento rivolto ai ragazzi dell’ultimo anno del Liceo Linguistico ed Economico Tecnologico “Marco Polo” di Bari, tenutosi sabato 21 aprile, incontro la dottoressa Elisa Capozzi, consulente di marketing.
- Dott.sa Capozzi, cosa devono sapere i giovani, prima di introdursi nel mondo del lavoro?
Poche cose, in realtà. Sappiamo che nel panorama italiano esistono numerose realtà imprenditoriali. Esistono la piccola, la media e la grande impresa. Quella privata e quella pubblica. Quella italiana e quella estera. Le aziende, in questo momento, rivolgono la loro attenzione ad individui che presentino un “modo di essere” che valorizzi la risorsa. Non è più una questione di contenuti, ma di stili comportamentali. Conta di più “saper essere”, che “sapere”. Un altro requisito fondamentale richiesto dalle aziende italiane, è l’esperienza. L’individuo che le imprese cercano è un individuo attivo, dinamico ed elastico. L’esperienza aiuta i giovani a formarsi professionalmente, è impossibile “inventarsi” al momento del colloquio di lavoro.
- Il titolo accademico ha ancora una certa rilevanza, è, cioè, ancora importante?
Negli anni tra il 2004 e il 2008, e cioè quelli precedenti alla crisi, si è registrata una riduzione della quota delle assunzioni nelle professioni ad alta specializzazione. Si assumevano, cioè, meno laureati. Questa tendenza, diametralmente opposta a quelle registrate invece all’estero, ha causato una diaspora di neolaureati all’estero e un calo del livello e della qualità delle capacità operative. In tutta l’Europa è cresciuta l’offerta di lavoro per i neolaureati: in Giappone si assumono 56 laureati su 100, negli Stati Uniti se ne assumono 45, in Italia solo 20. Tutto questo concorre ad aggravare il deficit imprenditoriale italiano, cala la capacità dell’impresa italiana di imporsi in uno scenario professionale di alto livello e cala, di conseguenza, la competitività con l’impresa straniera. Questa miope gestione del lavoro, questo modo di procedere che si può paragonare al metodo di navigazione a vista, ha condotto di conseguenza anche ad un abbassamento del livello del contenuto tecnologico delle produzioni italiane, che non possono assolutamente competere, ad esempio, con quelle cinesi e giapponesi. Adesso le aziende sono in crisi, non si effettuano nuove assunzioni ed i giovani laureati sono costretti a fuggire all’estero.
- In questo determinato momento storico, consiglierebbe ad un futuro lavoratore, una formazione specialistica o generalista?
A questa domanda non esiste una risposta di tipo univoco. Diciamo che in questo momento storico è consigliato saper fare molto di più di quello che ci viene richiesto. In un momento politico ed economico così instabile, il giovane lavoratore, deve essere pronto a tutto. Ecco perché una delle qualità maggiormente richieste dalle aziende è l’elasticità, lo spirito di adattamento. Per un giovane che si è specializzato in un determinato campo, sarà certamente più facile essere assunto, ma c’è il rischio di diventare obsoleti per il mondo del lavoro che si rinnova molto frequentemente. Al contrario, per i generalisti è più difficile trovare un impiego stabile, ma sarà ovviamente più facile applicarsi in campi diversi. Come dichiara Andreas Schleicher, responsabile della sezione Indicators and Analysis Division del Direttorato per l’Education dell’ODEC, i sistemi di istruzione devono preparare per lavori che non sono stati ancora creati, per tecnologie non ancora inventate, per problemi che non sappiamo ancora che nasceranno.”
Chiara De Gennaro
articolo interessante!