Come un relitto trasportato dalla corrente, Kaspar Hauser si spiaggia sulla battigia di un’isola. Biondo, smilzo, munito di cuffie e con il suo nome tatuato sul petto nudo in nitide lettere maiuscole, il naufrago semincosciente viene raccolto a riva dallo Sceriffo che, profeticamente, attendeva la sua venuta. Ingabbiato ed esposto come un animale, nutrito solo con pane e acqua, il ragazzo è inizialmente scambiato per un Santo, un Re o, addirittura, la reincarnazione stessa del Cristo. La gente pretende risposte da lui, magari anche un miracolo, ma Kaspar sa solo ripetere reiteratamente il suo nome e ballare a suon di musica elettronica, sparata a tutto volume nelle sue orecchie dalle sue inseparabili cuffie. Ma da idolo a impostore il passaggio è breve: l’indifeso ragazzo viene tacciato di essere un imbroglione, un truffatore e un traditore. La gente si fa scherno di lui: la parabola di Kaspar Hauser culmina così in un tragico quanto assurdo finale.
Il regista milanese Davide Manuli prende tra le mani la vera storia relativa a Kaspar Hauser, (“il fanciullo d’Europa” vissuto in isolamento dalla nascita e comparso improvvisamente nell’800 a Norimberga senza cognizioni linguistiche né spaziali), trasponendola in tutto il suo non-senso. Da Essere puro, infatti, il giovane diventa vittima del Sistema che gli impone i suoi obblighi omologanti: è, ad esempio, costretto a vestire con una tuta Adidas che diventa la sua divisa. Inoltre, Kaspar, ridotto ad essere una merce esposta, diventa una marionetta, un pagliaccio, un giullare danzante per il mero sollazzo della gente.
La vicenda assume i caratteri di universalità, grazie alla precisa scelta di Manuli di dislocare nel tempo e nello spazio la narrazione. Immediatamente, infatti, subito dopo i titoli di testa, vengono date le seguenti coordinate: “Isola. Anno zero. Luogo X. Mare Y.” La scenografia, comunque, è data dal paesaggio brullo ed essenziale della Sardegna, regione colta nei suoi anfratti meno conosciuti e, decisamente, meno reclamizzati.
La scelta di far interpretare il personaggio principale da una donna (la bravissima Silvia Calderoni), è giustificata dalla volontà di Manuli di rendere ambigua e, al tempo stesso, misteriosa la figura di Kaspar Hauser, facendone quasi una mitica creatura ermafrodita. L’interpretazione perfetta della Calderoni rende subito empatico il personaggio di Kaspar che, prima osannato e poi vessato, suscita pietà soprattutto nelle scene in cui viene aggredito e in cui reagisce, impotente, con crisi epilettiche. L’ottimo cast è, inoltre, formato da personaggi al limite dell’assurdo, vestiti con costumi stereotipati: abbiamo, infatti, la Duchessa interpretata da una brava Claudia Gerini, il Prete impersonato da Fabrizio Gifuni, Elisa Sednaoui nei panni della Prostituta e, infine, l’attore-artista Vincent Gallo nel duplice ruolo di Sceriffo e Pusher.
Visivamente potente, a tratti ipnotico, La leggenda di Kaspar Hauser è una vera esperienza sensoriale, merito anche della colonna sonora di Vitalic, che per il protagonista rappresenta quasi una forma di resistenza al Sistema, nonché l’essenza stessa di cui è fatto.
Trailer su https://www.youtube.com/watch?v=N4YQGIuamnA
Giovanni Boccuzzi