Diciamocelo francamente, noi italiani non siamo per nulla avvezzi al rispetto delle regole. Osservare codici, leggi e norme non è mai entrato e mai entrerà nel nostro dna. Uno dei detti più sentiti infatti recita: fatta la legge trovato l’inganno, proprio a sottolineare di come il popolo italico sia abile nel trovare escamotage per sfuggire a controlli e sanzioni non appena il perfido Leviatano, ha legiferato per il vivere civile. Personalmente ritengo che la legge, per dura e ingiusta che possa apparire, sia legge e pertanto vada comunque rispettata. Fa parte di un codice non scritto che si chiama rispetto per le regole e del prossimo. Essere cittadini significa avere sì diritti, ma anche doveri, e forse quest’ultimo dato non troppo ci rallegra e ci entusiasma. Faccio questa lunga e forse pedissequa premessa per accennare a un episodio cui ho assistito qualche pomeriggio fa. Lungomare di Bari, periferia nord, passeggiata al tramonto con amici. Noto che sulla strada, oltre ai soliti motociclisti con casco slacciato e a auto costruite per ospitare due persone che regolarmente ne ospitano magicamente tre, transitano numerose pattuglie di forze dell’ordine. Nel rallegrarmi per questa presenza dello Stato che mi solleva da pericoli incombenti, mi chiedo: ma almeno loro rispetteranno le regole e indosseranno le cinture di sicurezza? Ebbene, da una veloce statistica noto che su tre auto su tre da me osservate, nessuno dei conducenti indossava la fatidica e vituperata cintura! Al ché, di fronte a questa osservazione, cerco di coinvolgere anche i miei compagni di passeggiata. Nessuno mi sa dire se sia normale oppure no. Non rimane altro da fare che interrogare i diretti interessati sul nostro dilemma e farci chiarezza. Dopo aver richiamato l’attenzione di una pattuglia sulla loro negligenza, i rappresentanti delle forze dell’ordine che fino ad un attimo prima proseguivano a passo d’uomo, sterzano improvvisamente, cambiando senso di marcia, ci affiancano sul marciapiede e, apostrofandoci come se fossimo scesi da marte, ci rispondono: “ma state scherzando? Abbiamo fatto un interevento!” Al ché, guardandoci attoniti tra il riso e la rassegnazione, decidiamo di proseguire, anche perché nel frattempo gli agenti sono già andati via lasciandoci al nostro destino. Torno a casa e mi informo sul codice della strada circa l’uso delle cinture di sicurezza. Mi viene in soccorso l’art. 172, che recita al comma 8, capo a, che sono esentati dall’obbligo di uso delle cinture di sicurezza e dei sistemi di ritenuta per bambini: gli appartenenti alle forze di polizia e ai corpi di polizia municipale e provinciale nell’espletamento di un servizio di emergenza. Tanto basta. Specificato che nessuno dei corpi menzionati cade nella casistica delle forze dell’ordine da me incontrato, e quindi non sarebbero esentati (!), e che le pattuglie incontrate, compresa quella che con tanta magnanimità ha velocemente dialogato con noi, non era, in quel momento, impegnata in un servizio di emergenza, il comportamento di quei rappresentanti delle forze dell’ordine era chiaramente contro la legge. Il Ministero dell’Interno con una circolare del 22 dicembre 2010 lascia una certa discrezionalità agli agenti: “la valutazione, prudente e restrittiva, delle situazioni di emergenza è rimessa ai singoli operatori sulla base delle circostanze contingenti”. Come dire, ce ne laviamo le mani, fate un po’ come credete. Insomma, la classica legge fatta per gli italiani: a libera interpretazione. E ritorna dunque quello che dicevo all’inizio dell’articolo. Manca la sana abitudine al rispetto delle regole. Non direi che si tratta di una colpa. È parte del nostro dna. Ci viene naturale. Come lasciare la macchina in doppia fila, andare senza casco o in tre sul motorino, non rispettare i limiti di velocità, occupare scivoli e posti per disabili, ecc. Del resto i politicanti nostrani lo avevano più volte ribadito nel corso della storia: governare gli italiani non è difficile, è inutile. Ci sono Paesi che ci meravigliano, quando andiamo all’estero, per quanto i propri cittadini siano rispettosi delle leggi e delle norme del vivere civile, cosa normalissima per loro, straordinaria per noi. A volte basterebbe solo dare il classico buon esempio, se no l’analfabetismo imperante porterà (e porta) molte persone a dire: “se non le mettono loro perché devo farlo io?”. E poi avrei gradito da parte di un rappresentante dello Stato, nostro stipendiato, una spiegazione in merito alla questione più serena, ammettendo, perché no, di aver sbagliato. Una dimenticanza capita a tutti. Certamente non saremmo stati noi ad elevare loro una contravvenzione. Pecuniaria di sicuro no, ma morale sì.
Andrea Alessandrino