Tanto attuale come dibattito quanto fuori stagione come capo d’abbigliamento, parliamo di PELLICCE. Un tempo sfoggiate dalle signore dell’alta società, segno di una ricchezza ostentata, esibite come status symbol in una qualsiasi occasione mondana, oggi le pellicce sono ancora in voga nonostante dal 2005 al 2009 l’acquisto di questi capi sia diminuito. Ma nel 2010 questo settore industriale della moda inizia la sua ripresa grazie ad un escamotage: proporre la pelliccia come accessorio o inserto di borse, scarpe, cappelli e cappotti. Questo “trucco” è stato l’ancora di salvezza per il mercato delle pelli nei paesi occidentali e oggi costituisce più della metà del fatturato annuale dell’industria della pelliccia italiana.
Sono belle da vedere, di ogni forma e colore, piacevoli al tatto, lussuose e sofisticate, variamente pregiate. Sono animali. ERANO VITE. Ma cosa accade agli animali trasformati in pellicce che andranno ad avvolgere corpi di donne ricche ed altezzose? L’85% delle pelli dell’industria della pelliccia proviene da animali che vivono in cattività negli allevamenti. Le gabbie in cui questi animali sono costretti a vivere sono strette ed anguste, in cui anche il pavimento è di rete per facilitare la pulizia ma allo stesso tempo aumenta la possibilità di procurarsi ferite alle zampe. Gli allevamenti non considerano affatto le esigenze naturali dell’animale ma mirano esclusivamente all’ottenere un manto folto ed è questo uno dei motivi per cui spesso queste creature sono esposte al freddo durante l’inverno. Le femmine poi diventano macchine forzate alla riproduzione. Le condizioni innaturali in cui sono allevati questi animali provocano loro un forte stress e comportamenti inusuali quali: ripetizione ossessiva dello stesso movimento, aumento dell’aggressività, stato di profonda apatia, comportamenti isterici od autolesionisti. Non essendo animali destinati all’alimentazione umana le loro carni non sono sottoposte a controlli. E se non sono animali di allevamento? Il restante 15% dei più comuni animali da pelliccia come ermellini, lupi, linci, volpe argentata.. sono catturati nel loro ambiente naturale con trappole di ogni tipo. Tagliole, lacci strangolanti, reti poste al’ingresso delle tane. Gli individui così catturati rimangono vivi, anche per giorni, intrappolati e sofferenti, prima che il cacciatore venga a prelevarli.
L’uccisione può avvenire in vari modi e tende a mantenere la pelliccia nelle migliori condizioni piuttosto che a render minima la sofferenza degli animali:
-Morte per annegamento, usata soprattutto per animali di piccola taglia perché più facili da trattenere sott’acqua.
-Morte per dissanguamento , per animali di piccola e media taglia.
-Morte per soffocamento da gas, gli animali vengono chiusi in piccole gabbie di legno collegato allo scarico di una macchina agricola.
-Morte con elettricità , due elettrodi vengono inseriti nella bocca e nell’ano dell’animale e trattenuti con delle pinze mentre la scarica elettrica li uccide.
Una nota a parte merita lo scuoiamento , in questo caso la pelliccia è rimossa dall’animale ancora in vita, poi abbandonato ad un lento dissanguamento. Per trasformare le pelle di un animale in pelliccia è necessario usare sostanze chimiche tossiche e cancerogene. Alcune indagini compiute in Germania e Danimarca hanno dimostrato che residui di queste sostanze possono trovarsi anche nel prodotto finito e ne sono stati trovati persino in inserti di pelliccia destinati all’abbigliamento dei più piccoli.
Oggi é possibile esser eleganti e ben protetti dal freddo senza nuocere agli animali grazie alle proposte di “pellicce ecologiche”. Ugualmente piacevoli a tatto e vista con in più il vantaggio di esser innocenti perchè per la loro produzione nessun animale è stato ucciso. Per la produzione invece di UN SOLO cappotto di pelliccia sono necessari 130-200 cincillà, 180-200 ermellini, 200-400 scoiattoli, 30-70 visoni, 10-20 volpi, e la lista sarebbe ancora lunga.
In nome dell’eleganza e della vanità ogni anno ne fanno le spese milioni di animali, ingiustamente.
E TU, VUOI VESTIRTI DI CADAVERI?
Luciapia Fenuta