Come spesso accade, per giudicare la validità di un lavoro basterebbe semplicemente citare il nome del regista per averne una garanzia, ma in questo specifico caso, non si parla di un bel film, ma di un vero e proprio capolavoro cinematografico.
“The Dreamers” è arte allo stato puro, su questo non si accettano obiezioni.
Dopo averlo visto, per ben quindici volte, mi rendo pienamente conto che ad ogni nuova visione, si scopre sempre qualcosa di estremamente affascinante e inaspettato capace di sbigottire, scuotere, e al tempo stesso imprigionare la mente dello spettatore assorto nella riflessione. Si potrebbero passare ore e ore a discutere di questo gioiello del cinema, perché tutto di The Dreamers è come un proiettile che ti colpisce la corteccia cerebrale, un colpo inferto con vigore, del quale anche dopo tanti anni, è impossibile cancellarne la cicatrice.
Proiettato fuori concorso durante la 60° Mostra del Cinema di Venezia nel lontano 2003, “The Dreamers” vanta il nome del grande regista emiliano Bernardo Bertolucci, il quale per la trama si ispirò al libro di Gilbert Adair. La storia in teoria, si basava sui moti studenteschi iniziati nella Parigi del ’68, anno di grandi mutamenti e trasformazioni, un periodo in cui i giovani cercavano di far udire le loro voci di protesta, ribellandosi alla generale chiusura mentale che li circondava. Ma in realtà, questo non è che un piccolo assaggio della vera storia, poiché The Dreamers non è un film di contestazione e protesta (o almeno, non direttamente), ma è una proiezione tra finzione e sogno. Anzi, appare addirittura curiosa la decisione di ambientare un film durante gli anni di quella che fu definita “La Grande Utopia” per poi scegliere di non parlarne affatto, se non per farne una cornice, preoccupandosi al tempo stesso di trasmetterne un’immagine matura e lungimirante dell’evento in sé per sè. Ma veniamo ai fatti: apprendiamo direttamente la storia dalla voce narrante Matthew (Michael Pitt), giovane studente americano giunto a Parigi per studio, ma lui non è un ragazzo qualunque, è un cinefilo, un malato di cinema e per una fatidica quanto fortuita circostanza, conoscerà pressola Cinèmatheque Francaises i due fratelli Theo e Isabelle (Louis Garrel ed Eva Green), gemelli per nascita e congiunti da un legame unico e sconvolgente, con i quali vivrà intensi momenti di vita. E così ad apertura film, mentre la telecamera scorre veloce, eternando l’entusiasmo per la bellezza di una città intramontabile, quale Parigi, e poi più languida per immortalare gli sguardi di cinefili assorti, indimenticabili saranno i ricordi di Matthew : “Era la fine degli anni ’60 ed ero venuto a Parigi per studiare francese. E’ qui che ho ricevuto la mia vera educazione. Ero diventato membro di quella che in quei giorni era una massoneria, la massoneria dei cinefili alla Cinematheque Francaise, quelli che chiamavamo “malati di cinema”. Io ero uno degli insaziabili, uno di quelli che si siedono vicinissimi allo schermo perché volevamo ricevere le immagini per primi, quando erano ancora nuove, fresche, prima che sfuggissero verso il fondo. Quelle immagini schermavano noi dal mondo. Fu in quell’occasione che conobbi Isabelle e Theo”.
Innovativa la scelta di ambientare le scene quasi interamente nell’appartamento parigino dei due fratelli Theo e Isabelle, i quali, restando soli e sentendo Matthew affine alla loro indole, lo inviteranno a trascorrere presso di loro quei rumorosi e nervosi giorni che precederanno la grande riscossa.
Lo sguardo del regista così, si addentra silenzioso in questo lussuoso quanto malinconico luogo, spiando attraverso la serratura le vite di questi tre giovani personaggi. Essi vivono di immaginario cinematografico, in ogni momento della loro esistenza, soprattutto quando non trovandosi in cineteca a gustarsi Marlene Dietrich, Samuel Fuller o Fred Astaire e Ginger Roger, Godard e Greta Garbo, Freaks o Mouchette, sentono forte l’esigenza di isolarsi dal resto del mondo fingendo sempre, come in un film, o simulando e replicando artifici visti sul grande schermo. E così facendo, la finzione diviene vita in tutte le sue manifestazioni, ma questo, come appare ovvio, è solo un aborto di vita. Incapaci di relazionarsi con il reale, stabiliscono insolite regole comportamentali, spesso solo immaturi e sadici giochetti, ma sarà proprio quest’ intellettuale mènage a trois che porterà i protagonisti a intraprendere un percorso di reciproca conoscenza, profonda, carnale, e ad esplorare senza inibizioni i territori più intimi delle emozioni.
Sono protagonisti che, credono fortemente nella loro cultura, nei loro valori, ma che alla fin fine si rivelano solamente imbottiti di ideali ai quali non partecipano attivamente, per i quali non combattono se non per finzione e puro idealismo. Ed è infatti anche la storia di una rivoluzione mai cresciuta se non nelle loro menti, di un’ illusione rimasta tale, che tuttavia ha segnato il futuro di tutti noi poiché nulla da allora è più stato uguale.
Così, proprio mentre fuori per le strade un’intera generazione si sta mobilitando per cambiare le cose e la rivoluzione avanza, un impetuoso sasso infrange i vetri della loro dimora, disturbando la loro intimità e costringendoli a destarsi dalla loro condizione onirica e fare i conti con la realtà. E’ il preludio della fine poiché le loro strade si divideranno per sempre. Matthew comprende che per lui questo viaggio è giunto al termine, deve lasciarli andare, dimenticare il suo amore per Isabelle, e tornare a vivere la vera vita, libera da recite e artifici. I due gemelli, proseguiranno insieme, prendendo parte a quegli ideali che tanto avevano esaltato ed enfatizzato, i quali tuttavia, mai gli avevano spronati a crescere.
E così il film giunge al termine, lasciandoti ricco e svuotato al tempo stesso. Ma come dimenticare la loro corsa per il Louvre per il record di Bande à Part, e come le colonne sonore, le dispute su citazione cinematografiche, il loro amore e soprattutto, lo sguardo di Matthew, quando inesorabile comprende che, è arrivata la fine?
Si può fare arte nel cinema, certo, rappresentando non la cosa stessa, ma la sua idea, ovvero trasformando l’idea in immagine sensibile, e quindi, per tutti coloro che si definiscono insaziabili di cinema, per tutti coloro che si sentono sognatori, questo è certamente il film ideale.
Alessandra Lovecchio
fantastica la scrittrice sarà bravissima applausi
complimenti alla scrittrice 😉